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Nami ha lasciato il Gambia per un lungo viaggio che lo ha portato 17 mesi dopo a essere uno dei richiedenti protezione del centro di accoglienza straordinaria, in acronimo Cas, “Roxana” di Canne, una località marittina nei pressi di Pulsano, in Puglia. Con due milioni di abitanti, il Gambia è il Paese più piccolo dell’Africa, ma i gambiani sono una delle cinque nazionalità che più attraversano il Mediterrano per raggiungere l’Italia.

L’odissea di Nami, cominciata in Gambia, lo ha visto percorrere Senegal, Burkina Faso, Niger e poi finalmente la Libia. Qui ha dovuto pagare un prezzo sempre troppo alto per essere imbarcato su un gommone e poi “lanciato” letteralmente in mare, senza cibo né acqua, dove 5/6 ore dopo è stato riscattato dalla marina italiana, portato all’hotspot di Taranto e da lì finalmente al Roxana.

Come funzionano i centri di accoglienza straordinaria: la vita degli immigrati in un Cas
Una vista del Roxana idealista/news

Attualmente è uno dei sessanta ospiti dell’ex albergo adibito a centro di accoglienza per un accordo tra la prefettura di Taranto e l’associazione Babele, da anni impegnata nell’accoglienza agli immigrati. La sua vita adesso è molto simile a quelle degli altri richiedenti protezione del centro, attualmente circa 60 persone, tutti uomini dai 18 ai 30 di anni di età. Scandita dalle lezioni giornaliere di italiano, il lavoretto stagionale su una spiaggia privata del litorale ionico, e le passeggiate in bicicletta, il mezzo di trasporto preferito dai ragazzi del centro. Ragazzi che – come ci spiega Sabrina, rappresentante dell’associazione Babele e responsabile del centro – rimarranno qui fino a completare l’iter necessario per ottenere la protezione umanitaria nel nostro Paese. Un iter che sulla carta dovrebbe durare sei mesi, ma che invece, arriva facilmente ai due-tre anni. Dopo l’approvazione definitiva del decreto sicurezza, il sistema di accoglienza è ormai destinato a cambiare.

“Nel centro sono ospitati i richiedenti asilo provenienti da Senagal, Mali, Burkina Faso, ma anche dal Pakistan e dal Bangladesh. Per loro, come per il resto dei migranti che arrivano sulle nostre coste, l’iter è quasi sempre lo stesso. Una volta arrivati a Taranto, sede dell’hotspot, come l’isola di Lampedusa, e dopo essere stati sottoposti alle visite mediche e aver dichiarato di voler richiedere la protezione internazionale, vengono smistati dalle diverse prefetture e dalle questure nei vari centri sul territorio. Quando arrivano al centro, ci occupiamo della prima accoglienza, forniamo il vestiario e il kit di igiene, li accompagniamo alle prime visite mediche per escludere patologie e infezioni”.

Come funzionano i centri di accoglienza straordinaria: la vita degli immigrati in un Cas
Sabrina, a sinistra, con uno degli ospiti e una delle lavoratrici del centro idealista/news

La struttura del Roxana

Il Roxana è una struttura disposta su due piani, con circa una ventina di stanze, da tre o quattro posti letto. Al piano terra c’è la sala pranzo, che nel pomeriggio – dice Sabrina – viene riservata alle lezioni di italiano. Nell’atrio invece vengono organizzate le attività comuni. “Noi li accogliamo da tutti i punti di vista, li seguiamo dal punto di vista lavorativo e formativo, li facciamo assistere a corsi di formazioni, li aiutiamo con la stesura dei curricula e li accompagniamo ai colloqui di lavoro. Il nostro team è composto da me, che sono laureata in legge, due psicologhe, una collega che si occupa della comunicazione, un’insegnante di italiano e da altri colleghi che si occupano della parte sanitaria".

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I ragazzi dormono in stanze da due o tre persone idealista/news

Compito di alcuni degli operatori del centro è quello di preparare i ragazzi per le audizioni presso le Commissioni territoriali che decideranno se accogliere o meno la loro richiesta di protezione. Così vengono a conoscenza delle loro storie, storie di violenza e di povertà estrema, che gli accordi tra Italia e Libia, previsti dal decreto Minniti, non hanno fatto altro che peggiorare. “Minniti – dice Sabrina -  ha fatto un accordo con le milizie libiche per impedire a queste persone di partire. Quando arrivano in Libia vengono portate in campi di concentamento delimitati da fili di ferro, pattugliati giorno e notte, dove vengono quotidianamente picchiati. Vengono chiesti soldi per la loro liberazione, ma solo alcuni di loro riescono a farsi mandare i soldi dai propri familiari, altri lavorano gratuitamente nei campi fino a guadagnarsi la propria libertà, altri ancora non riescono a uscirne vivi”.

Modelli di accoglienza immigrati: il primo e il dopo del decreto sicurezza

Una parte essenziale nell’iter di richiesta della protezione è la compilazione del modello C3. “Non sei tu a scegliere quale tipo di protezione ti verrà accordata, saranno gli organi giudicanti a stabilire se avrai diritto alla protezione internazionale e acquisire così lo status di rifugiato politico – come stabilito dall’articolo 1 della convenzione di Ginevra – o aver diritto alla protezione umanitaria riconosciuta fino ad ora nel nostro Paese, ma che è stata eliminata (almeno nella forma attuale) dal decreto sicurezza".

Il permesso di soggiorno per motivi umanitaria aveva durata di due anni e consentiva l’accesso al mondo del lavoro, al servizio sanitario, all’assistenza sociale e all’edilizia residenziale. Secondo l’articolo 1 del decreto, il permesso di soggiorno per motivi umanitari viene sostituito con cinque tipi di soggiorno: protezione speciale (1 anno, eventualmente rinnovabile), calamità (6 mesi, rinnovabile), cure mediche (1 anno, rinnovabile), per atti di particolare valore civile (rilasciato su indicazione del Ministero dell’Interno), per casi speciali.

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Le biciclette sono il mezzo di trasporto preferito dai ragazzi del centro idealista/news

“Gli effetti della cancellazione della protezione umanitaria – afferma Enzo Pilò presidente dell’Associazione Babele – saranno devastanti. In Italia abbiamo circa 350mila persone con protezione umanitaria che, allo scadere del loro permesso, si ritroveranno in uno stato di illegalità. Sono tutte persone che lavorano, pagano le tasse, l’affitto e che, da un giorno all’altro si ritroveranno senza alcun diritto.
Avremo 350mila persone per strada di cui si dovranno fare carico i Comuni, perché rimpatriarli sarebbe oggettivamente impossibile”.

L’accordo tra l’Associazione Babele e il Roxana

Enzo Pilò stipulò la prima convenzione con il Roxana nel 2011, all’epoca dell’emergenza umanitaria nel Nord Africa, poi rinnovata nel 2014. Le convenzioni, in un primo momento stipulate tra Regione e strutture d’accoglienza, da allora cominciarono a essere siglate direttamente tra prefetture ed enti di tutela, tra cui appunto l’Associazione Babele.

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La mensa del Roxana, usata anche per le lezioni di italiano idealista/news

Adesso la collaborazione, come la vita degli ospiti nel centro di accoglienza, potrebbe avere i giorni contati. “Siamo in attesa – dice Pilò – che si chiudano le procedure per il contratto che è stato pubblicato a febbraio 2018 e a cui non abbiamo voluto partecipare, perché riteniamo che le condizioni previste nel capitolato di appalto siano assolutamente negative per le persone in accoglienza. Invece che spingere verso l’inclusione sociale delle persone richiedenti asilo, si tende a rinchiuderle nel centro di accoglienza. Non a caso, il bando prevede che nella struttura siano presenti un medico, un infermiere e addirittura un barbiere. Questo nonostante, per legge, i richiedenti asilo abbiano accesso al servizio sanitario nazionale e debbano rivolgersi alle strutture pubbliche. Lo scopo non può essere allora di scollegare queste strutture dal corpo della società civile e di superare il sistema di accoglienza ordinario dello Sprar, considerato il fiore all’occhiello del sistema italiano. Non a caso il Roxana, pur essendo un Cas, viene gestito come uno Sprar, perché eticamente è la nostra missione”.

Il “pacchetto immigrazione” (articolo 12) prevede proprio il ridimensionamento dell’accoglienza del sistema ordinario dello Sprar, gestito dai Comuni, che in futuro sarà riservato esclusivamente ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati (che siano richiedenti o meno). In questo modo, il richiedente asilo avrà accesso alle misure “essenziali” di accoglienza previste nell’originaria prima accoglienza, ovvero gli hotspot e i Cas. "Neppure i titolari di protezione speciale - chiarisce Enzo Pilò - potranno accedere agli Sprar. Questo significa che persone vulnerabili saranno abbandonate a se stesse, a meno che non se ne facciano carico i Comuni".

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L'atrio del Roxana idealista/news

Che fine farà il pocket money per gli immigrati?

Tra le misure più impattanti del nuovo decreto sicurezza c’è la riduzione della quota base di 35 euro per migranti, il cosiddetto pocket money. Si passa infatti ai 19 euro per gli ospiti dei grandi centri ai 26 euro per i centri più piccoli. A restare invariato è il pocket money di 2,50 euro che ogni ospite del centro di accoglienza riceve e che viene corrisposto alla fine del mese solo per i giorni di effettiva presenza.

Le risorse tagliate riguardano proprio quelle attività necessarie a garantire l’inclusione, come i percorsi di integrazione, i corsi di di italiano e la mediazione culturale. “Fino ad oggi – dice Enzo Pilò – i 35 euro erano appena sufficienti per garantire l’erogazione dei servizi previsti dal contratto, soprattutto se hai piccoli numeri in accoglienza. Ma i piccoli numeri garantiscono il successo dell’inclusione sociale.
È evidente che se hai 300-400 persone in accoglienza, l’inclusione sociale non potrai mai garantirla. Primo perché mancherà sempre una relazione fiduciaria tra gli operatori e i beneficiari, secondo perché garantire l’inclusione sociale di 400 persone in un paesino di tremila abitanti non è una cosa facile. Abbassare la retta vuol dire favorire le grandi strutture, quei consorzi e quelle cooperative che hanno dimostrato di non essere troppo pulite”.

Come funzionano i centri di accoglienza straordinaria: la vita degli immigrati in un Cas
Il Roxana ospita circa 60 richiedenti asilo idealista/news

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1 Commenti:

gabriella
23 Novembre 2018, 18:53

Il fatto che queste persone si fermino nel nostro Pese non è una bella cosa... sarebbe meglio che potessero ritornare nel loro (a meno che non ci sia motivo di impossibilità per guerre o carestie) e aiutare il proprio Paese appunto ad evolversi. Caldeggiare l'accoglienza ogni costo non è utile per loro, né tantomeno per noi!!!

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