Commenti: 0
Rapporto Censis 2021
Una fotografia sociale, economica e demografica del Paese pixabay
Askanews

Il Rapporto Censis 2021 sulla situazione sociale del Paese fa una fotografia a 360º dell'Italia in un momento di transizione, dopo che il momento più grave della pandemia è ormai alle spalle. Transizione green, ma anche digitale, demografica e occupazionale.

La pandemia come transizione

La pandemia, rimescolando le carte, ha costretto il Paese a porsi di fronte alle opportunità dell'accelerazione negli investimenti pubblici e privati. Così, per il Censis, è il tempo di un cronoprogramma serio, non importa se dettato dai vincoli europei ed è il tempo delle riforme strutturali e dei grandi eventi internazionali da preparare e ospitare in Italia. È il tempo dell'intervento pubblico, dice ancora il rapporto, orientato da scelte coraggiose.

Alla parola "crisi" il Censis preferisce la parola "transizione", proprio a significare che il momento più grave è ormai alle spalle. Intorno a ciascun progetto di transizione (green, digitale, demografica, occupazionale) si accumulano sprazzi di vitalità, voglia di partecipazione, energie positive.

D'altronde nelle 270 pagine del Pnrr la parola transizione compare 133 volte, accompagnata dalle più disparate specificazioni (ecologica, digitale, giusta, verde, green, ambientale, energetica, sostenibile, equa, inclusiva, forzata, 4.0, tecnologica, burocratica, verso il cloud).

La transizione green, ossia la necessità di ridurre l'impronta ecologica delle attività umane, per salvaguardare l'ambiente delle generazioni future, è un processo sociale, economico, tecnologico, politico che assume sembianze forti quanto le rivoluzioni industriali o la globalizzazione, ma proprio perché è tale richiede capacità d'indirizzo e di disegno complessivo ben oltre quella messa in campo fin qui in Italia e in Europa. Tuttavia la consapevolezza della necessità di cambiare è ancora parziale: la maggior parte degli italiani (57,8%) ritiene che nel 2050 l'energia continuerà a dipendere prevalentemente dalle fonti fossili. Gli italiani che conoscono i contenuti del Pnrr sono meno del 20%, mentre quasi il 40% ne conosce al massimo il nome.

Il rischio inflazione contro la ripresa

Il "rischio di una fiammata inflazionistica" è uno dei fattori che congiura contro la ripresa economica. Secondo il Censis, tutti i rischi di natura socio-economica paventati durante la pandemia (il crollo dei consumi, la chiusura delle imprese, i fallimenti, i licenziamenti, la povertà diffusa) vengono oggi rimpiazzati dalla paura di non essere in grado di alimentare la ripresa, di inciampare in vecchi ostacoli mai rimossi o in altri che si parano innanzi all'improvviso, tanto più insidiosi quanto più la nostra rincorsa si dimostrerà veloce.

A cominciare dal rischio di una fiammata inflazionistica. A ottobre 2021 il rialzo dei prezzi alla produzione nell'industria è stato consistente: +20,4% su base annua. Si registra un +80,5% per l'energia, +13,3% per la chimica, +10,1% per la manifattura nel complesso, +4,5% per le costruzioni.

Maggiore precarietà lavorativa

L'emergenza sanitaria ha avviato un nuovo ciclo dell'occupazione. Il 36,4% degli italiani ritiene che la crisi si sia tradotta in una maggiore precarietà (tra le donne la percentuale sale al 42,3%). Il secondo effetto è l'esperienza del lavoro da casa e la possibilità di conciliare le esigenze personali con quelle professionali: lo pensa il 30,2% degli italiani (e il 32,4% delle donne). Cresce l'aspettativa nel futuro, soprattutto per il 27,8% della popolazione che considera le risorse europee e il Pnrr elementi in grado di garantire occupazione e sicurezza economica per i lavoratori e le famiglie.

Bassi tassi di occupazione, alti tassi di disoccupazione (soprattutto dei giovani) e ampie sacche di inattività (soprattutto femminile): sono le caratteristiche di un mercato del lavoro sempre più sclerotizzato. Per il 30,2% degli italiani al primo posto tra i fattori che frenano l'inserimento professionale ci sono le retribuzioni disincentivanti che i datori di lavoro (Stato compreso) offrono in cambio della prestazione lavorativa anche nei confronti di chi dispone di competenze e capacità adeguate. Al secondo posto, per il 29,9% c'è la persistenza di condizioni inadeguate per avviare un'attività in proprio, a partire dal peso dei troppi adempimenti burocratici, fino al carico fiscale che grava sull'attività d'impresa.

Il gap salariale

l gap salariale tra uomini e donne persiste anche nel settore pubblico: mediamente le donne, in base ai dati presenti negli archivi Inps, guadagnano per la giornata retribuita 28 euro meno degli uomini. Prendendo in esame le retribuzioni degli oltre 15 milioni di lavoratori pubblici presenti negli archivi Inps, il dato medio complessivo riferito alla giornata retribuita si attesta a 93 euro.

Una donna percepisce una retribuzione inferiore di 28 euro se confrontata con quella di un uomo. La retribuzione per una donna ? inferiore del 18% rispetto alla media, mentre quella di un uomo è del 12% superiore.

In base all'età dei lavoratori emerge una differenza di 45 euro tra un under 30 anni e un over 54. La penalizzazione dei giovani è di 30 punti percentuali rispetto alla media e di 48 punti rispetto ai lavoratori con più di 54 anni. Ampia è anche la distanza tra la paga giornaliera di chi ha un contratto a tempo indeterminato rispetto al tempo determinato e fra full time e part time.

La giornata lavorativa del tempo indeterminato vale 97 euro contro i 65 del lavoro a termine, la retribuzione giornaliera del tempo pieno vale più di due volte quella del tempo parziale.

Lo smart working accelera la produttività

Lo smart working può accrescere la valorizzazione del fattore lavoro e rafforzare la produttività. A ritenerlo è una buona parte degli italiani.

Nell'ultimo decennio la stagnazione del Pil e la crescita di una occupazione non qualificata hanno evidenziato le difficoltà nel generare ricchezza valorizzando il fattore lavoro. In Italia è progressivamente calata la produttività oraria. In questo contesto, le opinioni degli italiani convergono sull'utilità dello smart working: il 53,0% si dice parzialmente d'accordo e il 23,9% d'accordo sul fatto che la sua adozione possa aumentare la produttività aziendale.

Il 49,6% vede in questo passaggio uno stimolo a profondere un maggiore impegno nel proprio lavoro, il 30,1% dei lavoratori dichiara che si trova già, di fatto, in questo tipo di situazione, e solo il 20,3% lo considera del tutto ininfluente rispetto al proprio impegno.

Più lavoratori dipendenti, meno autonomi

Dal 2008 al 2020 il lavoro indipendente in Italia si è ridotto di 719.000 unità, passando da quasi 6 milioni di occupati a poco più di 5 milioni (-12,2%). Nello stesso periodo il lavoro dipendente, nonostante le ripetute crisi, è aumentato di oltre mezzo milione di occupati: +532.000 (+3,1%). Nel periodo considerato le libere professioni sono aumentate (+241.000 occupati: +20,9%). Ma tra il 2019 e il 2020 il saldo finale per i liberi professionisti porta un segno negativo, con una riduzione di 38.000 occupati.

Ma resta intatto il loro appeal. Il 40,0% degli italiani definisce la libera professione un'attività prestigiosa, che fa valere le competenze acquisite e l'impegno dedicato allo studio. Per il 34,1% si tratta di un lavoro utile, importante per la collettività.

Le spese delle famiglie italiane

I consumi delle famiglie italiane sono in ripresa a partire dal secondo trimestre del 2021. Tuttavia, la spesa totale per consumi oggi è ancora di 8,4 punti percentuali al di sotto dei valori del 2019. 

Nei servizi, dove il crollo legato alla crisi è stato più accentuato, alla fine di giugno il recupero rispetto al 2019 era incompleto per ben 14,1 punti percentuali. È prevedibile che il recupero proseguirà nei prossimi mesi, ma è difficile al momento immaginarne la forza.

Negli anni pre-Covid la percentuale di famiglie ottimiste sul loro futuro è sempre stata molto superiore rispetto alla percentuale dei nuclei ottimisti sul destino del Paese. Nel 2019 i primi erano il 42,2% e i secondi il 21,5%. Nel 2021 i due dati viaggiano appaiati, rispettivamente al 37,8% e al 35,6%. Le prospettive personali e nazionali si congiungono in quanto dipendono dalla campagna vaccinale e dal successo del Pnrr.

Il peso della bolletta energetica

Le spese per l'energia in famiglie in difficoltà economica o con situazioni abitative non adeguate possono arrivare a incidere in maniera significativa sul budget familiare.

Nel 2018 le famiglie italiane che si trovano al di sotto della soglia di povertà impiegavano mediamente il 17,8% del proprio reddito per il pagamento delle bollette e delle altre spese di casa. Questa quota scende a meno della metà (8,1%) per le famiglie al di sopra della soglia di povertà. All'aumentare del reddito, diminuisce significativamente il peso della casa sul reddito familiare e sono proprio i nuclei con maggiori fragilità a subire il contraccolpo peggiore di un aumento dei prezzi dell'energia.

Il calo delle nascite

Tra il 2015 e il 2020 si è verificata una contrazione del 16,8% delle nascite. Il Rapporto Censis sulla società italiana, che evidenzia come questo fatto sia una grave debolezza nella sfida della ripresa post-pandemia, perché è segno di una carenza di capitale umano su cui far leva.

Nel 2020 il numero di nati ogni 1.000 abitanti è sceso per la prima volta sotto la soglia dei 7 (6,8), il valore più basso di tutti i Paesi dell'Unione europea (media Ue: 9,1). La popolazione complessiva diminuisce anno dopo anno: 906.146 persone in meno tra il 2015 e il 2020. Secondo gli scenari di previsione, la popolazione attiva (15-64 anni), pari oggi al 63,8% del totale, scenderà al 60,9% nel 2030 e al 54,1% nel 2050.

Secondo un'indagine del Censis, poco prima della pandemia il 33,1% dei capifamiglia con meno di 45 anni aveva l'intenzione di sposarsi o di convivere e il 29,8% aveva l'intenzione di fare un figlio. Ma soltanto il 26,5% ha continuato a progettare o ha effettivamente intrapreso un matrimonio o una convivenza stabile. In un caso su dieci il progetto originale è stato annullato. La grande maggioranza delle famiglie che stavano pensando di avere un figlio ha deciso di rinviare (55,3%) o di rinunciare definitivamente al progetto genitoriale (11,1%).

Bonus edilizia non utilizzati per gli asset pubblici

I bonus attivati a carico della collettività nell'edilizia per la riqualificazione energetica e la valorizzazione economica rischiano di non incidere sullo stato di cattiva manutenzione di molti asset pubblici, dalle scuole agli ospedali. 

Al 30 settembre 2021 gli interventi edilizi in corso o conclusi incentivati con il super-bonus 110% sono stati più di 46.000, per un ammontare di investimenti ammessi a detrazione pari a quasi 7,5 miliardi di euro (di cui il 68,2% per lavori conclusi), con un onere per lo Stato di 8,2 miliardi, segnala il Censis.

Il boom degli ultimi mesi è legato alla crescita della quota relativa ai condomini, che oggi è pari solo al 13,9% degli interventi (la percentuale era del 7,3% a febbraio), ma rappresenta poco meno della metà dell'ammontare complessivo (il 47,7%), dato che l'importo medio dei lavori nei condomini si attesta intorno ai 560.000 euro, contro i circa 100.000 euro degli interventi su singole unità immobiliari.

Il rischio - afferma il Censis - è che una parte dello stock di abitazioni private sia oggetto di un generoso intervento di riqualificazione energetica (nonché di valorizzazione economica) a carico della collettività, mentre molti asset pubblici (dalle scuole agli ospedali) permangano in uno stato di cattiva manutenzione

Vedi i commenti (0) / Commento

per commentare devi effettuare il login con il tuo account