Il rapporto Bes 2021 'Il benessere equo e sostenibile in Italia', diffuso dall'Istat fa la fotografia della società italiana nell'anno appena trascorso. Dall'aumento del lavoro da remoto, al numero di NEET (per cui l'Italia è prima in Europa) fino alla crescita delle famiglie in condizione di povertà assoluta. Vediamo le principali tendenze del 2021
Aumentano i lavoratori da remoto
Nel 2019 il lavoro da casa era una modalità di lavoro per appena il 4,8% degli occupati; nel secondo trimestre del 2020 ha raggiunto il picco del 19,7%. Il ricorso al lavoro da casa, tra il 2020 e 2021, è passato dal 13,8% al 14,8% (circa +260 mila occupati), anche se con un andamento ancora legato, oltre alla stagionalità, all'evoluzione pandemica: il lavoro da casa è più frequente nel primo trimestre 2021 (19,1%), diminuisce nel secondo 15,7%, raggiunge il minimo nel terzo (11,7%) e risale nel quarto (13%). Nel corso del 2021 si registra una progressiva riduzione della quota di chi lavora a casa per la maggior parte del tempo, mentre rimane pressoché invariata quella di chi lavora da casa per meno della metà dei giorni a segnalare una sorta di convergenza verso una modalità mista di lavoro, che combina lavoro da casa e lavoro in presenza.
Tra il 2020 e il 2021, la quota di occupate che lavorano da casa ? aumentata più di quella degli uomini (+1,5 e +0,8 punti rispettivamente) e ha raggiunto quota 17,3% (4,3 punti percentuali in più degli uomini). Risultato interessante se si pensa - fa notare l'Istat - che prima della pandemia il lavoro da casa era mediamente più utilizzato dagli uomini.
Anche nel 2021, in linea con gli anni precedenti, il lavoro da casa è più diffuso nel Centro, dove si osserva anche il maggior incremento rispetto al 2020 (la percentuale cresce di 2,3 punti e passa al 17,7%), e nel Nord (15,9%) rispetto al Mezzogiorno (10,5%); una quota elevata di occupati che lavorano da casa si registra, inoltre, tra le persone con un livello di istruzione terziaria tra le quali, a seguito dell'incremento di 3,7 punti rispetto al 2020, ha raggiunto il 34,1%.
Aumento contratti brevi e a tempo determinato
Il calo dell'occupazione che ha caratterizzato il 2020 ha coinvolto soprattutto il lavoro precario di breve durata, sia per il mancato rinnovo di contratti in scadenza, sia per le mancate attivazioni di nuovi rapporti di lavoro. Di conseguenza è aumentata la quota, tra i lavoratori a tempo determinato, di quelli con contratto di lunga durata: nel 2020 il 18,4% dei dipendenti a termine e dei collaboratori lo era da almeno cinque anni (+1,3 punti percentuali rispetto al 2019).
La ripresa occupazionale del 2021 ha riguardato esclusivamente dipendenti a termine e collaboratori, soprattutto di breve durata: nonostante il numero di lavoratori precari da almeno cinque anni sia tornato ai livelli del 2019 (553 mila; + 35 mila rispetto al 2020), la loro quota, sul totale dei lavoratori precari, è scesa al 17,5%. Il numero è comunque elevato considerando che si tratta di una categoria persistente di occupati intrappolati in condizione di precarietà lavorativa.
Il fenomeno è più diffuso nel Mezzogiorno, dove quasi un quarto (il 23,8%) dei lavoratori a termine lo è da almeno cinque anni (contro il 13% del Nord e 16,7% del Centro) e tra i lavoratori con al massimo la licenza media (24%, contro il 13,3% dei diplomati e il 17,0% dei laureati). Evidente anche la diversa distribuzione per settore di attività: tra gli occupati dell'agricoltura, la metà dei lavoratori precari lo è da almeno cinque anni e anche nella Pubblica amministrazione e nel settore dell'istruzione la quota supera il 20%
Cresce il tasso di occupazione, ma non è sufficiente
Nel 2021 l'occupazione torna a crescere, recuperando però solo parzialmente le ingenti perdite subite a causa dell'emergenza sanitaria. Il 2021 segna un parziale recupero dell'occupazione persa nel 2020, pari a +128 mila occupati tra le persone di 20-64 anni in media annua).
Il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni sale al 62,7% (+0,8 punti percentuali), ma resta ancora al di sotto del livello pre pandemico. La dinamica mostra tuttavia un progressivo miglioramento nel corso dell'anno e nel quarto trimestre 2021 il tasso di occupazione torna superiore a quello del 2019 (+0,4 punti).
La ripresa del 2021 è stata più marcata per le donne (+1,1 punti percentuali sul 2020 rispetto a + 0,6 punti per gli uomini), i giovani (+2,1 punti tra i 20-34enni rispetto a +1,0 tra i 35-49enni e +0,1 tra i 50-64enni) e gli stranieri (+1,5 rispetto a +0,8 degli italiani), che erano stati i soggetti più colpiti dalla crisi del 2020.
Nonostante il tasso di occupazione femminile sia salito al 53,2%, con un aumento di +1,1 punti sul 2020 (l'aumento si è fermato a 0,6 punti per gli uomini), il recupero rispetto al 2019 è stato simile per uomini e donne (i tassi sono inferiori di -0,9 e -0,7 punti rispettivamente). Il gap di genere, salito a 19,8 punti nel 2020, nel 2021 torna a diminuire pur rimanendo molto alto (19,3 punti).
I divari territoriali, già diminuiti a causa dei peggiori effetti della pandemia sulle regioni del Centro-nord, continuano a ridursi e nel Mezzogiorno il tasso di occupazione torna ai livelli - ancorché bassi - del 2019 (48,5%). Tra i laureati la ripresa nel 2021 è stata più intensa rispetto agli altri livelli di istruzione e il tasso di occupazione raggiunge il 79,2% (+1,5 punti).
Quanto al tasso di mancata partecipazione al lavoro si attesta al 19,4% nel 2021, in calo (-0,3 punti percentuali) dopo il forte aumento registrato nel 2020 che aveva interrotto il trend decrescente. L'indicatore diminuisce soprattutto per i giovani fino a 34 anni (-1,7 punti), i laureati (-1,1 punti), i residenti nel Mezzogiorno (-0,7 punti) e le donne (-0,6 punti).
Peggiora la situazione economica per una famiglia su tre
Dopo l'esplosione della pandemia da Covid-19 che ha colpito il nostro sistema economico, gli indicatori di benessere economico evidenziano un quadro di lento miglioramento. Tuttavia quasi una famiglia su tre ha visto peggiorare la propria situazione economica.
Il perdurare dell'emergenza sanitaria ha determinato nel 2021 un ulteriore incremento della quota di famiglie che dichiarano di aver visto peggiorare la propria situazione economica rispetto all'anno precedente: dal 29% del 2020 si arriva al 30,6% nel 2021, quasi cinque punti percentuali in più rispetto al 2019 (25,8%).
L'aumento si riscontra in tutte e tre le ripartizioni geografiche, tuttavia nel Centro e, soprattutto, nel Nord l'incremento più elevato si attesta nel primo anno di pandemia, mentre nel Mezzogiorno soprattutto nel secondo anno.
Nel 2021, il reddito disponibile delle famiglie e il potere d'acquisto hanno segnato una ripresa, pur restando al di sotto dei livelli precedenti la crisi. La crescita sostenuta dei consumi finali, d'altra parte, ha generato una flessione della propensione al risparmio che, tuttavia, non è tornata ai valori pre-pandemia.
Una quota consistente di famiglie dichiara che il Covid-19 ha comportato una perdita di reddito per il proprio nucleo familiare (32,9%, 32,1% e 28,1%, rispettivamente in Centro, Mezzogiorno e Nord), l'11,3% ha avuto bisogno di ricorrere ad aiuti economici da parte di familiari o parenti - comportamento diffuso più tra le famiglie del Mezzogiorno (12,9%) e del Centro (11,9%) che tra quelle del Nord (9,9%) - e il 9% delle famiglie ha chiesto prestiti o finanziamenti bancari (più di frequente nel Nord, con 9,5%, e nel Centro, con 9,3%, rispetto all'8,1% registrato nel Mezzogiorno).
La percentuale di coloro che vivono in famiglie dove gli individui hanno lavorato per meno del 20% del proprio potenziale è stata dell'11%, in crescita rispetto al 10% del 2019. Inoltre, una quota pari al 9% di persone ha dichiarato di arrivare a fine mese con grande difficoltà, in aumento rispetto al 2019 quando era pari all'8,2%. Anche gli individui che vivono in famiglie con una situazione di grave deprivazione abitativa crescono dal 2019 al 2020, passando dal 5% al 6,1%. Risulta invece stabile il rischio di povertà (20% degli individui da 20,1% nel 2019).
Aumento povertà assoluta
La grave crisi economica del 2020 provocata dalla pandemia si è tradotta in un aumento della povertà assoluta, giunta ai suoi massimi dal 2005, anno a partire dal quale è disponibile l'indicatore, con 1 milione circa di poveri assoluti in più e valori dell'incidenza pari al 7,7% per le famiglie e al 9,4% per gli individui. Nel 2021, pur in uno scenario economico mutato, la povertà assoluta si mantiene stabile, riguardando oltre 1 milione 950mila famiglie (7,5%) e più di 5 milioni 500 mila individui. Va comunque notato che, senza la crescita dei prezzi al consumo registrata nel 2021 (+1,9%) l'incidenza di povertà assoluta sarebbe stata pari al 7% a livello familiare e all'8,8% a livello individuale, in lieve calo, quindi, rispetto al 2020.
Nel 2021, il Nord recupera parzialmente il forte incremento nella povertà assoluta osservato nel primo anno di pandemia, anche se non torna ai livelli osservati nell'anno precedente (6,8%, 9,3% e 8,2% rispettivamente nel 2019, 2020 e 2021).
Nel Mezzogiorno, invece, le persone povere sono in crescita di quasi 196mila unità e si confermano incidenze di povertà più elevate e in aumento, arrivando al 12,1% per gli individui (era l'11,1% nel 2020). Infine, il Centro presenta il valore più basso, sebbene anche in questa area del Paese l'incidenza aumenti tra gli individui passando da 6,6% nel 2020 a 7,3% nel 2021.
Guardando alla composizione per cittadinanza, se nel 2020 l'incidenza di povertà assoluta aumenta sia per le famiglie costituite solamente da italiani, sia per quelle con almeno uno straniero, che conoscono una diffusione del fenomeno molto più rilevante, nel 2021, si registra un ulteriore peggioramento tra le famiglie composte solamente da stranieri (da 26,7% del 2020 al 30,6%), mentre per quelle di italiani la diffusione del fenomeno si mantiene stabile (5,7%).
In generale, rispetto al 2020 si registra una sostanziale stabilità per le diverse tipologie familiari. L'incidenza di povertà assoluta nel 2021 si conferma più elevata per le famiglie più numerose: le famiglie in cui sono presenti coppie con 3 o più figli registrano un'incidenza pari al 20,0%, seguite dalle famiglie di altra tipologia con 16,3%, dove frequentemente sono presenti più nuclei familiari. La presenza di figli minori continua a essere un fattore che espone maggiormente le famiglie al disagio (11,5%), mentre la quota di famiglie con almeno un anziano in condizioni di povertà è pari al 5,5%, stabile rispetto al 2020 (5,6%), confermando l'importante ruolo di protezione dei redditi da pensione che garantiscono entrate regolari nella famiglia.
Il totale dei minori in povertà assoluta nel 2021 è pari a 1 milione e 384mila: l'incidenza si conferma elevata, al 14,2%, stabile rispetto al 2020, ma maggiore di quasi tre punti percentuali rispetto al 2019, quando era pari all'11,4%. Le incidenze di povertà sono stabili anche tra i giovani di 18-34 anni (11,1%) e tra gli over65 (5,3%).
Più occupate le donne senza figli
Le donne tra i 25 e i 49 anni sono occupate nel 73,9% dei casi se non hanno figli, mentre lo sono nel 53,9% se hanno almeno un figlio di età inferiore ai 6 anni; il rapporto tra i loro tassi di occupazione (con al denominatore quello delle donne senza figli), moltiplicato per 100, risulta pari a 73 (un valore pari a 100 indicherebbe l'uguaglianza tra i due tassi) ed è di circa 1 punto più basso rispetto a quello dell'anno precedente. Il calo è dovuto soprattutto all'aumento del tasso di occupazione delle donne senza figli (+1,9 punti rispetto al 2020), e si verifica nel Nord (il rapporto passa da 80,2 a 77,6) e nel Mezzogiorno (da 67,6 a 65,2), ma non nel Centro dove l'indicatore aumenta (da 81,0 a 84,5) per effetto della crescita del tasso di occupazione tra le donne con figli piccoli.
La situazione di maggior difficoltà rimane comunque nel Mezzogiorno, dove lavora solo il 35,3% delle donne con figli piccoli, quasi la metà rispetto al Centro (62,7%) e al Nord (64,3%).
Il gap tra le donne con figli in età prescolare e senza figli tuttavia si riduce all'aumentare del livello di istruzione: il valore del rapporto raggiunge quasi quota 93 (in aumento rispetto al 2020) se la donna ha almeno la laurea, scende a 70,9 se il titolo di studio è secondario superiore e crolla a 48,7 per le donne con al massimo la licenza media
Al 42,1% la presenza delle donne nei CDA
La presenza femminile nei consigli di amministrazione delle grandi società quotate in Borsa continua a crescere e nel 2021 si attesta al 41,2%, con uno stacco di quasi 10 punti percentuali in più della media dei 27 Paesi dell'Unione (30,6%). E' quanto emerge dal rapporto Bes 2021 'Il benessere equo e sostenibile in Italia', diffuso dall'Istat.
È il risultato delle ulteriori misure introdotte dalla legge di bilancio 2020, che ha innalzato al 40% la quota femminile in questi organi e aumentato da tre a sei il limite massimo di mandati consecutivi.
Italia prima in Europa per numero di NEET
Italia al primo posto in Europa per presenza di Neet, ossia di giovani che non studiano e non lavorano. Il fenomeno interessa in modo particolare le ragazze.
Il nostro Paese ha il primato per la numerosit? di questo particolare segmento di giovani, tra 15 e 29 anni, che non sono più inseriti in un percorso scolastico o formativo e neppure impegnati in un'attività lavorativa, noti come Neet, Not in Employment, Education or Training.
Nel 2021, tra i giovani di 15-29 anni, il 23,1% non studia né lavora, in calo rispetto al 2020, quando avevano raggiunto il 23,7%, con un incremento di 1,6 punti percentuali rispetto all'anno precedente la pandemia. Tra le donne il 25% non fa formazione né lavora (erano il 25,8% nel 2020), mentre tra gli uomini sono il 21,2%, erano il 21,8% nel 2020; tuttavia, sia tra le donne sia tra gli uomini, il calo non compensa l'incremento di Neet osservato nel primo anno di pandemia. Le differenze regionali rimangono elevate e ricalcano la dicotomia Nord-Mezzogiorno. Le regioni con la quota più elevata di Neet sono la Puglia (30,6%), la Calabria (33,5%), la Campania (34,1%) e la Sicilia (36,3%).
Il fenomeno interessava nel 2008 il 19,3% di questa fascia di età in Italia e il 13,1% in Europa; la crescita nel nostro Paese è stata più veloce di quanto non sia avvenuto nella media Ue27 fino a interessare nel 2014 - al culmine della crisi occupazionale - più di un giovane su quattro (26,2%, 10 punti percentuali al di sopra della media Ue27). Successivamente la quota è diminuita lentamente, fino al 2019 pur senza ritornare, nel caso dell'Italia, ai valori pre-crisi ma segnalando un deficit di recupero (+2,9 punti percentuali sopra il corrispondente valore del 2008).
L'incidenza della condizione di Neet è maggiore tra le giovani che tra i giovani e la distanza tra le due componenti di genere, nel nostro Paese, si riduce solo in corrispondenza degli anni più duri della crisi economica, che hanno colpito di più i giovani maschi, e torna a essere più ampia della media Ue27 nel 2019.
Nel secondo trimestre 2020, nel pieno della fase 1 della pandemia, è evidente l'incremento nella Ue27 di giovani al fuori del contesto di istruzione e non occupati (+1,7 punti nel secondo trimestre 2020 rispetto al trimestre precedente), incremento trainato da paesi come Spagna (+4,2) ma anche Francia (+2,8) e che, tuttavia, nel nostro Paese è più modesto e leggermente al di sotto della media europea (+1,6).
L'Italia però presenta comunque dei valori strutturalmente molto più elevati del fenomeno e nella fase di diminuzione dell'indicatore continua a posizionarsi ancora molto al di sopra degli altri paesi europei. Inoltre nel nostro Paese - a differenza di quanto avvenuto negli anni più duri della crisi economica, quando per effetto del maggiore incremento tra i giovani maschi le due componenti di genere si erano avvicinate - durante la prima fase della pandemia sono soprattutto le giovani 15-29enni a peggiorare di più con un forte incremento dell'incidenza di Neet, che le allontana dai corrispondenti giovani maschi. Nel primo trimestre del 2021 inoltre si osserva una seconda fase di incremento dell'incidenza dei Neet, più in Italia che nel resto della Ue27 (rispettivamente +0,6 punti e +0,1 punti rispetto al trimestre precedente) e, nel nostro Paese, più forte tra le femmine che tra i maschi (+1,0 punti rispetto a +0,2 punti). L'ultimo dato europeo disponibile per il confronto, riferito al terzo trimestre 2021, mostra che, complessivamente, rispetto all'inizio del 2019, in Ue27 l'incidenza di Neet ha ripreso a calare ma con velocità differenti: più velocemente per le giovani e i giovani in Spagna (rispettivamente -2,6 e -1,1 punti percentuali nel terzo trimestre 2021 rispetto al primo trimestre 2019), più lentamente in Italia (rispettivamente -0,7 e -0,1 punti).
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