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Tasse sulla casa, come sono cambiate negli ultimi anni
Comuni nei quali è più probabile un aumento di tributi sugli immobili AdE - Mef

Come è evoluto il prelievo fiscale negli anni? Secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, dal 2012 le imposte totali sugli immobili sarebbero diminuite, soprattutto per effetto dell’abolizione dell’Imu prima casa.

Tutte le tasse sulla casa in Italia

Il rapporto Gli immobili in Italia 2019, Ricchezza, reddito e fiscalità immobiliare ricorda che la tassazione degli immobili in Italia è composta di questi tributi:

  1. Le imposte di natura reddituale, l’IRPEF e l’IRES, con le relative addizionali, dovute da chi possiede fabbricati a titolo di proprietà, o altro diritto reale. Dal 2012 l’IRPEF non è dovuta sui fabbricati non locati, poiché assoggettati a IMU, ma dal 2014 è applicabile, nella misura del 50 per cento, se tali fabbricati si trovano nello stesso comune nel quale si trova l’immobile adibito ad abitazione principale. L’IRES è applicata sui proventi derivanti da immobili patrimonio (cioè immobili che non rappresentano beni strumentali e la cui produzione o scambio non è oggetto dell’attività di impresa). In alternativa alla tassazione del reddito da immobili, è prevista, limitatamente alle abitazioni, l’opzione di un’imposta sostitutiva sul reddito (la cedolare secca), introdotta nel 2011 in luogo dell’IRPEF. Il regime della cedolare secca consiste nell’applicazione di un’imposta fissa pari al 21 per cento per i contratti a canone libero e al 19 per cento per i contratti a canone concordato (quest’ultima aliquota è stata poi ridotta al 15 per cento e infine al 10 per cento per il periodo 2014-2019). I contribuenti che non optano per questo regime devono versare, oltre all’IRPEF e alle relative addizionali, anche le imposte di registro e bollo sui contratti di affitto, che variano dallo 0,5 per cento al 2 per cento del canone annuo, per ciascuna annualità prevista nel contratto, incidendo sul reddito da locazione.
  2. Un’imposta di natura patrimoniale, l’IMU, introdotta nel 2011 con la contestuale abrogazione dell’ICI. La disciplina dell’IMU prevede, rispetto alla stessa ICI, l’incremento della base imponibile realizzato, applicando alle rendite catastali coefficienti moltiplicativi più elevati. L’aliquota base è fissata nella misura dello 0,76 per cento con facoltà per i Comuni di elevarla o ridurla nella misura massima dello 0,3 per cento. Dal 2014, non sono più assoggettate all’IMU le abitazioni principali, ad eccezione di quelle di lusso.
  3. Un tributo sui servizi indivisibili, la TASI, introdotta nel 2013. Nel presupposto impositivo della TASI rientra non solo il possesso, ma anche la detenzione di immobili e sono esclusi i terreni agricoli. La legge di stabilità 2016 ha eliminato l’imposizione TASI sulle abitazioni principali sia del possessore sia del detentore, escluse quelle di lusso. Un tributo che, dal punto di vista economico, rientra di fatto in quelli di natura patrimoniale.
  4. Le imposte sul trasferimento degli immobili a titolo oneroso: l’IVA, le imposte di registro e di bollo e le imposte ipotecarie e catastali. In particolare, le imposte ipotecarie e catastali sono in somma fissa per i trasferimenti onerosi e in percentuale per la parte non agevolata di successioni e donazioni. Inoltre, negli anni più recenti, le aliquote IVA del 4 per cento (sull’acquisto dell’abitazione principale) e del 10 per cento (sugli acquisti di immobili non di lusso che non rientrano nell’ambito dell’agevolazione sull’abitazione non di residenza) sono rimaste invariate, mentre l’aliquota ordinaria applicata agli acquisti dei fabbricati di lusso è aumentata progressivamente dal 20 per cento al 22 per cento; le altre imposte sono state modificate dal 2014, con una riduzione dell’incidenza della tassazione immobiliare complessiva (dal 10 per cento al 9 per cento) e, in particolare, della tassazione relativa all’abitazione principale (dal 3 per cento al 2 per cento).
  5. Le imposte sul trasferimento degli immobili a titolo gratuito, ovvero su successioni e donazioni. È anzitutto prevista una franchigia di un milione di euro per i parenti in linea retta e di 100 mila euro per fratelli e sorelle. Negli altri casi, il prelievo varia a seconda del grado di parentela tra cedente e beneficiario, con un’aliquota compresa tra il 4 per cento e l’8 per cento, cui si aggiungono le imposte ipotecarie e catastali rispettivamente fissate al 2 per cento e all’1 per cento.

Tasse sulla casa, come sono cambiate negli ultimi anni
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Come sono cambiate le tasse sugli immobili in Italia

Come sono cambiate, dunque, queste tasse nel tempo? Secondo il rapporto, tra il 2012 e il 2013 le imposte di natura reddituale sono aumentate di 0,95 miliardi senza poi vedere altri aumenti significativi fino al 2018 (passando da 8,74 a 8,56 miliardi). Il gettito da imposte di natura reddituale è pari al 21 per cento del totale ed è in gran parte attribuibile all’IRPEF (13 per cento del totale) e alla cedolare secca sulle locazioni abitative (6 per cento).

Tra le imposte patrimoniali di natura ricorrente, l’IMU, è stata pari nel 2018, a 18,7 miliardi e la TASI a 1,1 miliardi per un ammontare complessivo di 19,8 miliardi. Il gettito complessivo IMU-TASI del 2018 (19,8 miliardi di euro) è diminuito in misura significativa rispetto al 2012 (-4,9 miliardi di euro) per effetto in primo luogo dell’esenzione per le abitazioni principali. La diminuzione del gettito IMU-TASI 2018 rispetto al precedente anno (-0,6 miliardi di euro) è invece sostanzialmente imputabile ai versamenti del 2018, non ancora riscossi. Considerando il peso percentuale del gettito di queste imposte, nel 2018 circa il 47 per cento delle entrate deriva dall’IMU, e solo il 3 per cento dalla TASI.

Le imposte indirette sui trasferimenti e sulle locazioni, dopo un’iniziale diminuzione di circa 1 miliardo di euro nel 2013 e 2014, rispetto al 2012, crescono gradualmente nel periodo successivo (nel 2016 sono pari a circa 10,8 miliardi di euro) e registrano un ulteriore incremento negli anni 2017 e 2018 (12,1 e 12,2 miliardi di euro, rispettivamente). Tale maggior gettito è riconducibile all’andamento positivo del mercato residenziale che nel 2017 ha registrato un incremento delle compravendite pari al 6,3 per cento su base nazionale, rispetto al 2016. L’IVA sulle compravendite di immobili rappresenta il 15 per cento delle entrate complessive, mentre le imposte di registro e bollo costituiscono il 7 per cento del totale. Poco significative risultano le entrate tributarie da successioni e donazioni (pari al 2 per cento del prelievo complessivo) e quelle da imposte ipotecarie e catastali (pari al 4 per cento del totale).

Tasse sulla casa, come sono cambiate negli ultimi anni
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Dove è più probabile che aumentino le tasse sulla casa?

Dato che la Legge di Bilancio per l’anno 2019 non ha confermato la sospensione dell’aumento dei tributi locali e regionali, gli enti locali possono esercitare nuovamente la leva tributaria per assicurarsi maggiore autonomia fiscale, per un aumento potenziale del gettito pari a circa 2,2 miliardi di euro, di cui circa 1 miliardo derivante dall’imposizione immobiliare.

Secondo il rapporto, i Comuni che otterrebbero maggiori vantaggi in termini di gettito (circa 202 milioni di euro) appartengono alla fascia di popolazione tra i 10.000 e i 20.000 abitanti. In questi Comuni dunque potremmo vedere aumenti di aliquote sui tributi legati agli immobili. Per quanto riguarda i soli tributi locali immobiliari (IMU e TASI), più della metà dei Comuni (51,44 per cento) ha quasi integralmente esaurito gli spazi di manovrabilità previsti dalla legge in termini di maggiorazione del gettito rispetto alla quota ad aliquota di base. Solo poco più del 5 per cento degli enti ha invece spazi di manovrabilità superiori al 30 per cento del gettito potenziale massimo IMU e TASI.

Dove saranno più probabili aumenti di aliquote Imu e Tasi? I Comuni delle regioni del Nord sono quelli che presentano spazi di manovrabilità ancora disponibili relativamente più elevati rispetto a quelli delle regioni del Centro e del Sud. Particolarmente significativo è il dato delle regioni ad autonomia speciale (Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Sardegna): in termini pro-capite, gli spazi di manovrabilità ancora disponibili sono in queste regioni nettamente superiori a quello delle altre regioni, ad eccezione dei Comuni siciliani che presentano un dato sostanzialmente in linea con quelli delle altre regioni meridionali. I Comuni della Valle d’Aosta e del Friuli Venezia Giulia mostrano, infatti, il maggior sforzo fiscale residuo (rispettivamente 33 per cento e 30 per cento) rispetto al complesso delle regioni italiane. Tra le regioni a statuto ordinario, i Comuni del Veneto presentano uno sforzo fiscale residuo più elevato (12,5 per cento del gettito potenziale massimo). In coda si colloca la regione Lazio (2,8 per cento).

 

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