Riflettori puntati sull’F24. Con la sentenza 18803, la Cassazione ha stabilito che per il contribuente che attesta falsamente all’impiegato della banca, il quale partecipa alla redazione del modello, di essere stato autorizzato a dedurre dal proprio debito fiscale il credito di un altro soggetto scatta il falso in atto pubblico.
Riformando il giudizio di primo grado, i giudici di appello avevano assolto l’imputato considerandolo non più punibile grazie alla depenalizzazione del reato di falso in scrittura privata (articolo 485 del Codice penale). Il fatto era stato riqualificato come falso in scrittura privata, mentre la contestazione iniziale, ritenuta corretta dal Tribunale, era di falso in atto pubblico (articolo 483 del Codice penale).
La Cassazione ha chiarito che il modello F24 prova l’adempimento dell’obbligo tributario da parte del contribuente e il fatto che si tratti di un atto pubblico si deduce anche dal Dlgs 241/1997 che detta le norme per semplificare la dichiarazione dei redditi e i pagamenti Iva.
L’amministrazione finanziaria delega agli istituti bancari il compito di incassare le somme dovute, attribuendo sia alla banca sia agli impiegati che seguono l’operazione gli stessi poteri di attestazione dei suoi dipendenti. L’atto di versamento e di ricevuta rilasciato ha pari efficacia di quello formato dai funzionari pubblici e prova il pagamento. E il falso detto all’impiegato della banca fa scattare il reato.
La Suprema corte non ha condiviso i precedenti con i quali si è sostenuta la natura di scrittura privata del modello F24. Nel caso esaminato, i giudici hanno annullato la sentenza impugnata ai fini del risarcimento da stabilire in sede civile, essendo ormai il reato prescritto.
per commentare devi effettuare il login con il tuo account