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Nella questione del recupero dell’Ici 2006-2011 dagli istituti scolastici e sanitari della Chiesa, si profila la possibilità di una sanatoria. Ma ci sarebbe un vantaggio per lo Stato Italiano? Idealista/news lo ha chiesto ad Alessandra Smerilli, economista e docente di Economia all'Università Lumsa di Roma e alla Pontificia Facoltà Auxilium.

Lo Stato recuperi l'Ici della Chiesa: la sentenza

La sentenza della Corte di Giustizia europea - che ha accolto il ricorso della Scuola Montessori di Roma contro la precedente sentenza che nel 2016 esentava le scuole paritarie dal pagamento dell’Ici negli anni dal 2006 al 2011 per oggettive difficoltà nel recupero dell’imposta – ha di fatto aperto la questione sulla possibile riscossione tardiva dell’Ici a carico di istituti non solo a fine di lucro (come nel caso di ostelli o B&B a gestione religiosa) ma anche quando si tratti di attività di servizio pubblico. Come, appunto, scuole o enti sanitari. Attività che dopo l’istituzione dell’Imu, sono in effetti esentate dalla nuova tassazione, proprio in considerazione del servizio reso al pubblico (altra questione è per gli esercizi commerciali o per le attività a scopo di lucro che, invece, sono soggette al pagamento). Il gettito che verrebbe recuperato – con modalità ancora da stabilire -si aggirerebbe intorno ai 5 miliardi di euro. Ma già si discute su una possibile sanatoria per una somma intorno al 20%.

Chiusura scuole private, i possibili costi per lo Stato

Quale sarebbe il vantaggio per lo Stato italiano nel recuperare questi soldi? “Il problema più grosso che si può avere è non avere lungimiranza – risponde Alessandra Smerilli. - Chiedere l’arretrato di Ici dal 2006 al 2011 alle scuole o a chi si occupa di sanità farà sì recuperare cinque miliardi di euro, ma potrebbe voler dire oggi la chiusura per queste istituzioni. Il che per lo Stato significherebbe doversi assumere un costo: occorre infatti considerare che un alunno delle scuole paritarie costa allo Stato molto meno di uno delle scuol statali”.

Non una scelta economicamente “furba”, quindi. Stando a quanto dichiarato lo scorso marzo dall’allora Sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi in una intervista a Skuola.net, ripresa da La Stampa, la scuola pubblica statale conta 8 milioni e mezzo d’iscritti, la scuola pubblica non statale ne conta 1 milione. Lo Stato riconosce ad essa un contributo di 500 milioni di euro annui (500 euro all’anno a studente), a fronte del fatto che alla scuola statale ogni iscritto costa 6 mila euro l’anno. Se quindi non ci dovessero essere più scuole paritarie in Italia, facendo i conti molto grossolanamente, si avrebbe un maggiore costo di sei miliardi di euro l’anno per gli studenti delle scuole paritarie che dovessero riversarsi nelle statali. Cinque miliardi e mezzo, considerando il mancato versamento del contributo. Più di quanto renderebbe il gettito del recupero dell’Ici.

Perchè la Chiesa non paga l'Imu 

“Il principio per cui l’Imu oggi non è pagato dalle scuole – ricorda Smerilli, - è che quegli edifici non generano lucro ma sono attività i cui proventi servono a garantire il finanziamento delle spese correnti di un servizio che è pubblico. Nelle scuole paritarie gli aiuti dello Stato non coprono nemmeno gli stipendi dei docenti; i maggiori costi sono dovuti all’aggiornamento delle strutture per metterle a norma, e per altre spese legate all’istruzione”.

Come mai non c’era questa clausola per l’Ici?Non c’era una normativa chiara- risponde la docente di Economia e statistica, - quindi a seconda dei Comuni a volte veniva pretesa e a volte no. Ora abbiamo un parere europeo che va da una certa parte e quindi in un momento in cui i Comuni hanno bisogno di risorse possono approfittarne. Ma alcune scuole, caricate di questi ulteriori costi, rischiano davvero la chiusura”.

Possibili soluzioni? “Sarebbe bene parlarne per meglio definire le cose, come è stato fatto per l’Imu. Una possibile sanatoria al 20% economicamente impatterebbe meno sugli istituti, ma resterebbe non affermato il principio del servizio pubblico svolto da scuole e strutture sanitarie. Un principio che è riconosciuto perfino nella laicissima Francia, dove è lo Stato a pagare gli stipendi ai docenti delle private”.

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