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Parte il 12 Ottobre per concludersi il 22  (salvo chiusura anticipata in caso di grande successo o prolungamenti in caso di qualche difficoltà), “l’ultimo miglio” per il collocamento in borsa di parte del capitale di Poste Italiane.  

Al mercato sono destinate un massimo di 453 milioni di azioni, nel caso venga esercitata interamente l’opzione “greenshoe” (se la domanda dovesse rivelarsi superiore all’offerta), che farebbe salire al 38,2% la quota di capitale che lascerà il ministero del Tesoro. Altrimenti si supererà di poco il terzo, giungendo precisamente al 34,7 per cento.

Del capitale in vendita, il 30% è destinato ai portafogli dei risparmiatori, mentre la fetta più grossa è per gli investitori istituzionali. Per questo, dopo Milano, l’amministratore delegato Francesco Caio e il direttore finanziario Luigi Ferraris compiranno un tour borsistico che parte da Milano e toccherà, in seguito, Londra, Parigi e Francoforte.

Domenica è stata fissata la forchetta di prezzo, che va da un minimo di 6 a un massimo di 7,5 euro. Per il pubblico “retail”, le regole dell’offerta pubblica di vendita prevedono l’acquisto di un lotto minimo di 500 azioni o suoi multipli, un lotto intermedio di 2.000 azioni o suoi multipli e un lotto maggiorato di 5.000 azioni o suoi multipli.

Diversa è la situazione per la tranche, da 14,9 milioni di azioni al massimo, riservata ai dipendenti. Loro potranno acquistare un lotto minimo da 50 azioni e gliene saranno garantiti almeno due.

Per loro sarà anche più generoso, su tali due lotti, il “bonus fedeltà” che Poste Italiane ha previsto. Sarà, infatti, pari a un’azione ogni dieci regalata, se non vengono vendute per almeno un anno dalla data del pagamento (fissata al 27 ottobre). Il resto del pubblico otterrà, invece, un titolo gratuito ogni 20.

Stando al range di prezzo fissato,  un comunicato della società recita che è stato attribuito, al capitale della stessa, un valore compreso tra un minimo non vincolante di 7,837 miliardi di euro e un massimo, vincolante per la sola offerta pubblica di 9,796 miliardi. Il collocamento riguarderà, dunque, un massimo (con presso finale fissato a 7,5 euro) di 3,7 miliardi. Tutti destinati alle casse del Tesoro.

Cifre sicure sono quelle del primo semestre del gruppo, chiuso con ricavi totali per 16 miliardi, contro i 15 miliardi realizzati nello stesso periodo del 2014. Vera e propria esplosione, invece, per l'utile netto: 435 milioni, contro i 222 milioni del primo semestre dell'anno precedente.

Quella di Poste non è, come avvenuto in precedenza per altre società come Enel ed Eni, una completa “privatizzazione”, dato che la maggioranza assoluta rimane saldamente in mano pubblica. Anche per non perdere il controllo sulla raccolta del risparmio che confluisce nella Cassa depositi e prestiti.

Ma il piano industriale presentato a maggio contempla alcune scelte squisitamente “privatistiche”, come aumenti delle tariffe e la consegna della corrispondenza a giorni alterni nei piccoli paesi. Nonché la soppressione di molti piccoli sportelli e un taglio al personale per 3.500 unità.

 

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