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Quando per il calcolo della pensione viene applicato il sistema retributivo, alcuni contributi sarebbero da scartare, perché potrebbero rivelarsi addirittura dannosi, finendo per abbassare l’importo totale.

Con il sistema retributivo, infatti, per calcolare l’importo della pensione vengono considerati anche gli stipendi quelli degli ultimi 5 o 10 anni.

Ma, se negli ultimi anni prima di arrivare alla pensione il lavoratore subisce una riduzione dello stipendio o perde il lavoro, percependo una retribuzione sostitutiva (ad esempio la disoccupazione), la pensione sarebbe più bassa rispetto a quella calcolata in assenza di questo periodo contributivo.

Per questo in diversi casi la giurisprudenza ha permesso ai lavoratori (compresi gli autonomi) di “sterilizzare” questi contributi, non facendoli rientrare nel calcolo per la pensione.

Ma questa procedura è consentita solo per quei contributi accreditati dopo aver maturato il requisito contributivo per la pensione di vecchiaia (20 anni) o anticipata (42 anni e 10 mesi per gli uomini, un anno in meno per le donne).

Inoltre la neutralizzazione dei contributi “dannosi” può riguardare massimo 260 settimane contributive, nel caso in cui queste facciano riferimento a periodi di rioccupazione con retribuzione inferiore o a disoccupazione indennizzata.

Non c’è alcun limite, invece, per cancellare i contributi che fanno riferimento a periodi figurativi di integrazione salariale o di contribuzione volontaria.

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