Con l’ordinanza n. 581 dell’11 gennaio 2019 la Cassazione ha sottolineato il principio in base al quale affidarsi a un professionista – come un commercialista – per la presentazione della dichiarazione dei redditi non trasferisce su di esso l’impegno dichiarativo, che ha natura personale e non è delegabile. Il contribuente ha dunque dovere di controllo.
Nello specifico, la Cassazione ha affermato che il contribuente è tenuto a vigilare sulla corretta esecuzione dell’incarico, affidato a un professionista, di presentare la dichiarazione dei redditi e, in caso di contestazioni sull’esecuzione degli adempimenti fiscali, per essere esonerato dal pagamento delle sanzioni, deve dimostrare la mancanza di colpa o provando che l’intermediario ha mascherato fraudolentemente il proprio inadempimento o che lui stesso ha fornito al professionista la provvista per il pagamento dei tributi.
Tutto è nato in seguito a un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2006, con il quale è stato ripreso a tassazione l’Irpef non dichiarata e sono state irrogate le relative sanzioni. Tutto ciò dopo aver riscontrato l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte di un contribuente.
Nei gradi di merito, l’avviso è stato annullato parzialmente, con esclusivo riferimento alle sanzioni irrogate per il mancato deposito delle dichiarazioni dei redditi, in quanto ascrivibile alla condotta del commercialista al quale era stato conferito il compito di compiere tale incombenza. La Commissione regionale ha ritenuto pienamente legittima la pretesa fiscale relativa alla mancata presentazione del modello Unico 2007, ma non le sanzioni irrogate, a suo parere correttamente escluse dal giudice di primo grado. Questo perché il mancato deposito della dichiarazione dei redditi era ascrivibile in via esclusiva al commercialista incaricato al quale il contribuente si era affidato e, di conseguenza, egli non poteva ritenersi responsabile della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, in quanto era venuto a conoscenza dell’omissione solo all’atto della notifica dell’avviso di accertamento.
Ma l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione dell’articolo 3, Dpr 435/2001, e dell’articolo 2697 cc, sostenendo che la Commissione regionale da una parte, aveva omesso di considerare che, dal periodo successivo all’entrata in vigore del Dpr 435/2001, il contribuente, per andare esente dalle sanzioni a seguito dell’omesso deposito della dichiarazione affidata a un intermediario, era tenuto a conservare la copia della comunicazione concernente la ricezione della dichiarazione da parte dell’Agenzia delle Entrate; dall’altra non aveva nemmeno considerato che l’onere di provare l’assenza di colpa incombeva sul contribuente. La Cassazione ha accolto il ricorso e ha chiarito che “…in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte di professionista incaricato dal contribuente, quest’ultimo è tenuto a vigilare sulla corretta esecuzione dell’incarico …”.
Chiamati a verificare la sussistenza di responsabilità del contribuente che ha individuato nel proprio commercialista di fiducia il soggetto al quale affidare l’osservanza degli adempimenti fiscali, i giudici di legittimità hanno affermato che gli obblighi tributari relativi alla presentazione della dichiarazione dei redditi e alla tenuta delle scritture contabili non possono considerarsi assolti da parte del contribuente con il mero affidamento delle relative incombenze a un professionista.
E’ richiesta un’attività di controllo e di vigilanza sulla loro effettiva esecuzione affinché il mandato conferito sia puntualmente adempiuto. Grava sul contribuente, che ha l’obbligo di presentare correttamente e fedelmente la dichiarazione, di redigerla in modo fedele e di fare i versamenti dovuti e, quando si rivolge a un intermediario abilitato per la compilazione e la trasmissione del modello, è suo preciso dovere far sì che la dichiarazione sia correttamente e fedelmente compilata e tempestivamente presentata (in merito la Cassazione si è espressa con le pronunce 12472/2010, 13068/2011 e 27712/2013). Il fatto che il contribuente possa avvalersi di persone incaricate della materiale predisposizione e trasmissione della dichiarazione non vale a trasferire su queste ultime l’obbligo dichiarativo che ha natura personale e non è delegabile (a tal proposito la Cassazione si è espressa con le pronunce Cassazione, sezione III penale, 37856 e 46500 del 2015).
In caso di inadempimento, dunque, una volta che l’Amministrazione ha provato i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria vantata, spetta al contribuente che voglia andare esente da responsabilità dimostrare di aver agito in assenza di colpevolezza. Questo perché, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie (articolo 5, Dlgs 472/1997), ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente, occorre che l’azione ovvero l’omissione causativa della violazione sia non solo volontaria (compiuta cioè con coscienza e volontà), ma anche colpevole (posta in essere, quindi, con dolo o negligenza), con onere a carico dello stesso contribuente di provare l’assenza di colpa (Cassazione 13068/2011, 14042/2012, 5965/2014 e 11433/2015). Secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, questa prova grava sul contribuente, che risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato, ove non dimostri di aver vigilato su quest’ultimo (Cassazione, 6930/2017).
Ma il dovere di controllo del contribuente può essere superabile? Secondo quanto chiarito dalla Cassazione, il suo dovere di controllo è superabile in concreto soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento, a causa del quale la violazione viene commessa comunque, nonostante l’attenzione che possa prestare il contribuente (Cassazione 11832/2016 e 6223/2017). E’ il caso, ad esempio, della falsificazione di modelli F24 di pagamento delle imposte ovvero delle ricevute di ricezione delle dichiarazioni telematiche o di altre modalità comunque di difficile riconoscibilità da parte del contribuente-mandante (Cassazione 8914 e 19422 del 2018).
I supremi giudici hanno inoltre affermato che, anche in sede contenziosa, la non punibilità del contribuente può essere sostenuta attraverso la prova che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto addebitabile esclusivamente al professionista, sempre che lo stesso contribuente dimostri di “…avere fornito al professionista la provvista per il pagamento dei tributi…” (Cassazione 24535/2017 e 581/2019).
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