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Allarme per le partite Iva. A lanciarlo uno studio della Cgia di Mestre. Le famiglie che vivono grazie a un reddito da lavoro autonomo sono quelle più a rischio povertà. Nel 2015, infatti, il 25,8% dei nuclei familiari di questa categoria è riuscita a vivere stentatamente al di sotto della soglia di rischio povertà calcolata dall’Istat. Praticamente una su quattro si è trovata in seria difficoltà economica.

Lavoratori autonomi a rischio povertà, 1 su 4 è in serie difficoltà economiche
Cgia di Mestre

Per i nuclei in cui il capofamiglia ha come reddito principale la pensione, invece, il rischio si è attestato al 21%, mentre per quelle che vivono con un stipendio/salario da lavoro dipendente il tasso si è fermato al 15,5%.

I dati presentati dall’Ufficio studi della Cgia dicono che la crisi ha colpito soprattutto le famiglie del cosiddetto “popolo delle partite Iva”: ovvero dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei commercianti, dei liberi professionisti e dei soci di cooperative. Questo significa che il ceto medio produttivo ha pagato più degli altri gli effetti negativi della crisi e ancora oggi fatica ad agganciare la ripresa.

Il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, ha spiegato: “A differenza dei lavoratori subordinati, quando un autonomo chiude definitivamente l’attività non dispone di alcuna misura di sostegno al reddito. Perso il lavoro ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione. In questi ultimi anni, purtroppo, non è stato facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso forme di lavoro completamente in nero”.

La Cgia ha sottolineato che al netto dei collaboratori coordinati continuativi, dal 2008 ai primi 6 mesi di quest’anno lo stock di lavoratori autonomi (ovvero, i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti, i liberi professionisti, i coadiuvanti familiari, etc.) è diminuito di 297.500 unità (-5,5%). Sempre nello stesso arco temporale, la platea dei lavoratori dipendenti presenti in Italia è invece aumentata di quasi 303.000 unità (+1,8%).

Zabeo ha sottolineato: “Fino ad una decina di anni fa aprire una partita Iva era il raggiungimento di un sogno: un vero status symbol. L’opinione pubblica collocava questo neoimprenditore tra le classi socio-economiche più elevate. Oggi, invece, non è più così: per un giovane, in particolar modo, l’apertura della partita Iva spesso è vissuta come un ripiego o, peggio ancora, come un espediente che un committente gli impone per evitare di assumerlo come dipendente”.

Il segretario della Cgia di Mestre, Renato Mason, facendo riferimento allo Statuto del lavoro autonomo ha affermato: “E’ importante che siano stati riconosciuti, specie per i lavoratori autonomi più mobili, dei vantaggi fiscali per chi investe nell’aggiornamento professionale. Senza contare che finalmente sono state ampliate le tutele nelle situazioni di maternità, congedi parentali e malattia grave. Inoltre, è importante che anche per gli autonomi siano stati definiti i tempi di pagamento nelle transazioni commerciali con la Pubblica amministrazione e si possano costituire reti di professionisti per partecipare a gare pubbliche”.

A livello territoriale, sempre tra il 2008 e i primi mesi di quest’anno, il popolo delle partite Iva ha segnato la contrazione più marcata in Emilia Romagna (-12,7%), in Calabria (-12%), in Liguria e in Abruzzo (entrambi i casi con una riduzione del 10,4%). La ripartizione geografica più colpita da questa moria, invece, è stata il Mezzogiorno (-7%).

Tra il 2008 e il 2014, il reddito delle famiglie con fonte principale da lavoro autonomo ha subito una “sforbiciata” di oltre 6.500euro (-15,4%), mentre quello dei dipendenti è rimasto quasi lo stesso (-0,3%). In aumento, invece, il dato medio dei pensionati e di quelle famiglie che hanno   potuto avvalersi dei sussidi (di disoccupazione, di invalidità e di istruzione) che sono stati erogati ai nuclei più in difficoltà (+8,7% pari a +1.941 euro).

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