Con la sentenza n. 7240/19, la sezione tributaria della Corte di Cassazione è intervenuta sul tema degli accertamenti del Fisco su un contratto preliminare di compravendita. Vediamo quanto spiegato.
In base a quanto stabilito, per disconoscere la validità della firma apposta su un contratto preliminare di compravendita, sulla base del quale il Fisco ha effettuato un accertamento, serve la querela di falso. Se le anomalie riguardano solo alcune pagine, non è sufficiente che il contribuente eccepisca prima davanti al giudice di non aver sottoscritto lui quel contratto. E’ quindi legittimo l’utilizzo da parte dei verificatori del “compromesso” rinvenuto durante un’attività di controllo.
La vicenda riguarda i soci di una Snc che, secondo l’Agenzia delle Entrate, non avevano dichiarato 280mila euro di maggiori ricavi connessi alla vendita di due villette bifamiliari. Gli immobili erano stati rogitati a un prezzo di 170mila euro ciascuno, ma i funzionari del Fisco avevano reperito presso una banca un preliminare di compravendita che indicava un prezzo di cessione di 310mila euro per fabbricato. In capo ai soci persone fisiche, è stata quindi contestata la maggiore Irpef, gravata da sanzioni e interessi.
Uno degli imprenditori si è difeso sostenendo di aver rinnegato, fina dal primo momento, quella che avrebbe dovuto essere la sua firma sul preliminare. Secondo la difesa, dunque, il disconoscimento della paternità della sottoscrizione avrebbe reso inutilizzabile l’indizio a suo carico, in assenza di proposizione da parte dell’Agenzia delle Entrate dell’istanza di verificazione ex articolo 216 e.p.c.
Secondo quanto evidenziato dalla Cassazione, per effetto del rinvio operato dal dlgs. n. 546/1992 al rito civile, in presenza del disconoscimento della firma il giudice ha l’obbligo di accertare l’autenticità delle sottoscrizioni. Viceversa, i documenti non possono essere utilizzati ai fini della decisione. Ma, nel caso in esame, il preliminare riportava anche la firma dell’altro socio, che non aveva contestato alcuna irregolarità di firma. Il ricorrente, inoltre, aveva sconfessato la propria sottoscrizione solo con riferimento ad alcune pagine (quelle indicanti il prezzo di vendita delle villette) e non l’intero documento.
La Cassazione ha quindi precisato che per tali motivi il ricorrente avrebbe dovuto contestare “la falsità ideologica della scrittura riguardo all’indicazione del prezzo di vendita, ottenuta mediante interpolazione delle relative pagine”. Una situazione che però “doveva essere oggetto di proposizione di querela di falso”. La pretesa erariale è stata quindi confermata.
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