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Si continua a lavorare sul fronte delle pensioni. Secondo fonti di governo, tra le ipotesi allo studio c’è il prestito pensionistico per il lavoratore vicino all’età di vecchiaia a carico delle aziende. Una soluzione che consentirebbe di introdurre maggiore flessibilità di uscita con una spesa molto bassa per lo Stato. Il rischio, però, è che possa venir poco utilizzata per gli alti costi che cadrebbero sia sull’impresa che sul lavoratore. Quest’ultimo, infatti, una volta andato in pensione dovrebbe restituire all’azienda e tramite l’Inps il prestito ricevuto.

Nel dettaglio, l’azienda, a fronte della possibilità di aumentare il turn over, dovrebbe pagare i contributi per la persona che esce in anticipo rispetto all’età di vecchiaia fino al raggiungimento dei requisiti per l’accesso alla pensione. L’impresa pagherebbe anche una quota della pensione, ma questa dovrebbe poi essere restituita dal lavoratore, tramite l’Inps, una volta raggiunti i requisiti e andato in pensione con un meccanismo ancora da stabilire.

Per fare un esempio, una persona che matura una pensione di 1.000 euro al mese che dovesse lasciare il lavoro in anticipo di 2 anni a fronte dell’accordo su un prestito di 800 euro al mese avrebbe un “debito” con l’azienda di 20.800 euro. Se si ipotizza che la pensione si percepisce per circa 15 anni, la decurtazione potrebbe aggirarsi sui 1.400 euro l’anno (poco più di 100 euro al mese sull’assegno ai 1.000).

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