
Il mercato degli affitti brevi è relativamente nuovo ma di grande impatto nel mondo immobiliare e in quello turistico. La bozza del Disegno di Legge sulle locazioni turistiche presentata dal Ministero del Turismo agli operatori del settore e ad alcuni Sindaci cerca di regolare il fenomeno, e, come prevedibile, ha suscitato reazioni opposte. C’è chi trova la proposta legislativa inutilmente stringente o persino incostituzionale, chi invece considera l’intervento troppo leggero. Abbiamo intervistato sul punto Donatella Marino, avvocato civilista fondatore di Hospitality Law Lab, con una specifica expertise in Real Estate e diritto della Hospitality, mettendo il focus sui risvolti di diritto di questo fenomeno.
Gli interessi delle persone e degli operatori coinvolti sono i più vari, ma stanno prevalendo coloro che chiedono limitazioni. Da qui, il Disegno di Legge proposto dal Ministero del Turismo. Quali sono gli scopi dichiarati e le novità?
La bozza si propone di “fornire una disciplina uniforme a livello nazionale” sui contratti di locazione conclusi per finalità turistiche e di far fronte ad alcune criticità generate dall’overtourism.
Introduce quindi limitazioni alle parti (proprietario-locatore e inquilino-turista), che non potranno concordare un contratto di locazione inferiore a due notti (c.d. Minimum Stay), se l’immobile si trova in una delle Città Metropolitane e nei Comuni “a vocazione turistica”. Prevede inoltre un codice identificativo nazionale (CIN) per ogni immobile locato con finalità turistiche, un nuovo codice ATECO per gli imprenditori che offrono gli alloggi utilizzando questa tipologia contrattuale, un più solido impianto sanzionatorio e una definizione del concetto di finalità “turistica”.
I proprietari di immobili in Italia che beneficiano delle locazioni brevi si sentono danneggiati nel loro diritto di usare liberamente il loro bene e considerano illegittime queste limitazioni. Quali sono i diritti di questi proprietari?
Il diritto di proprietà di un soggetto privato su un bene economico (non solo di un asset immobiliare), inteso come diritto di godere e disporre liberamente di quel bene, non può essere limitato o compresso in maniera irragionevole nel nostro ordinamento. Come nella pluralità dei Paesi a regime democratico, del resto. In Italia, il diritto di proprietà è espressamente riconosciuto e garantito dall’Art. 42 della Costituzione. Come chiarito dalla Corte Costituzionale, organo chiamato a verificare la legittimità delle leggi del nostro sistema, eventuali limiti imposti a tale diritto, per essere validi, devono essere supportati da esigenze di interesse pubblico e rispettare i richiesti criteri di ragionevolezza e proporzionalità tra il sacrificio imposto al singolo e il beneficio che ne trae la collettività. Per esempio, l’espropriazione è prevista solo per motivi di pubblica utilità e salvo indennizzo.
Chi può legiferare in materia di locazioni, lo Stato, le Regioni o i Comuni?
Solo lo Stato può disciplinare i contratti di locazione, di qualsiasi natura e durata. La nostra Costituzione, all’Art. 117 co. 2 lett. l), attribuisce la potestà legislativa in materia di ordinamento civile allo Stato. Ne consegue che l’intera materia dei contratti è competenza esclusiva del Legislatore statale. Dal canto loro, le Regioni e le Province autonome hanno anch’esse potere legislativo, purché rispettino le materie riservate allo Stato: per esempio, possono imporre ai locatori adempimenti di natura amministrativa per meglio regolare un certo mercato (nel nostro caso, il turismo), come ben chiarito dalla Corte costituzionale nella nota sentenza di legittimità emessa in occasione di alcuni aspetti attuativi della Legge Lombarda sul turismo (C. Cost. n. 84/2019).
In effetti, esistono già leggi dello Stato che regolano i contratti di locazione a uso abitativo limitando i diritti dei proprietari che danno in affitto il loro immobile a tutela degli inquilini. Sono legittime?
La Corte Costituzionale non ha rilevato illegittimità nella normativa vincolistica sulle locazioni a uso abitativo (Legge n. 431/1998). Del resto, nel nostro diritto civile esiste un principio cardine, quello dell’autonomia contrattuale: i soggetti privati sono liberi di regolare tra loro i loro rapporti, sia con contratti tipici (p. es. compravendita, appalto, locazione, appunto) sia atipici, purché rispettino i limiti dati dall’ordine pubblico, dal buon costume e dalla legge. Con una legge statale, quindi, ben può essere ridotta questa autonomia privata, sempre nel rispetto di principi generali dell’ordinamento (tra cui la tutela di interessi superiori o la ragionevolezza e proporzionalità di cui si è detto).
Per esempio, è frequente l’intervento dello Stato volto a porre limiti all’autonomia negoziale per tutelare la parte debole del rapporto contrattuale, come il lavoratore, il conduttore, il consumatore,
il viaggiatore/turista. In materia locatizia, dunque, la tutela del diritto all’abitazione ha giustificato nel 1998 (e prima ancora, nel 1978) una specifica normativa vincolistica volta a tutelare le esigenze abitative degli inquilini che volevano concludere un contratto di locazione a uso abitativo. Il diritto all’abitazione, seppur in assenza di espressa menzione nella Costituzione, è stato riconosciuto dalla Corte Costituzionale come un bene primario per l’individuo. Sulla stessa linea della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948.
Tornando alle diverse reazioni dei proprietari immobiliari, coloro che risiedono in condomìni con eccessivo andirivieni di turisti sono molto infastiditi. Questi condòmini possono far valere qualche diritto contro i condòmini che usano i loro appartamenti con gli affitti brevi?
Certamente. Esiste un vivace contenzioso sul punto. La lettura delle sentenze (di merito e di legittimità) aiuta, anche qui, posto che la giurisprudenza sta attestandosi con crescente coerenza su alcuni criteri volti a distinguere ciò che è consentito da ciò che è vietato in materia di locazioni turistiche brevi in condominio. Emerge tra questi il principio, - apparentemente scontato ma posto, al contrario, alla base di molte decisioni - secondo cui ciascuno ha diritto di ottenere il rispetto delle regole di comportamento che disciplinano la civile convivenza. Interessante, per esempio, la recente e lucida sentenza della
Corte d’Appello di Milano che ha vietato a un Property Manager il diritto di continuare ad offrire in locazione breve i suoi (numerosi) appartamenti in un condominio non perché le locazioni brevi, in quanto tali, non fossero consentite, ma per le modalità con cui il gestore operava
, che costituivano un pericolo “per la civile convivenza e la tranquillità all’interno del condominio” (C. Appello di Milano, n. 1048/2022).
Il DDL intende limitare l'overtourism. Se ne parla tanto, ma cosa si intende per overtourism nella legge italiana?
Nell’ordinamento italiano il concetto di overtourism è nuovo. Esiste tuttavia la definizione - tra le più accreditate a livello internazionale - fornita della United Nations World Tourism Organization per cui
l’overtourism è “l’impatto negativo che il turismo, all’interno di una destinazione o in parte di essa, ha sulla qualità di vita percepita dei residenti e/o sull’esperienza del visitatore”.
È comprensibile che alcuni proprietari (o conduttori) residenti costretti a convivere con un overtourism locale che determina problemi di rumore, igiene o sicurezza richiedano una maggior attenzione alla loro qualità della vita. Un risultato che, tuttavia, non si può ottenere comprimendo tout court i diritti di alcuni proprietari a favore di altri discostandosi dai principi sopra menzionati, perché risulterebbe gravemente illegittimo, in una prospettiva costituzionale.
Certamente gli enti locali potranno e dovranno predisporre strategie e regole volte a individuare le modalità con cui regolare la civile convivenza tra i diversi cittadini italiani ed europei (ma certo non si possono discriminare gli stranieri) che popolano alcuni centri storici. Se, come extrema ratio, l’unica soluzione fosse quella di limitare l’accesso ai turisti a favore dei residenti, ovviamente il primo passo restrittivo sarebbe il contenimento dell’escursionismo giornaliero e solo in un secondo tempo la compromissione dei diritti costituzionalmente garantiti di proprietari di casa, Property Manager e albergatori.
Perché si, l’organo legislativo eventualmente chiamato a giustificare una norma restrittiva di diritti, come il Disegno di legge in esame, dovrebbe motivare come mai il turista contribuisce all’overtourism se pernotta in casa privata per meno di due notti mentre non ha impatto se visita la città dalla mattina alla sera oppure pernotta in struttura ricettiva. Difficile superare, inoltre, il vaglio dell’Autorità Garante della Concorrenza del Mercato (Antitrust).
I Property Manager sostengono che l’introduzione del Minimum Stay danneggerebbe pesantemente la loro attività e contrasterebbe con la libera iniziativa economica protetta dal nostro sistema. È corretto?
La libertà dell’iniziativa economica è tutelata dalla Costituzione purché non si svolga in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (Art. 41 Cost.). Questi sono dunque i valori che la nostra Costituzione considera prioritari e quindi idonei a comprimere, sempre in modo ragionevole, proporzionato e non discriminatorio, la libertà di operare di qualsiasi soggetto economico. La libertà di impresa è tutelata anche dall’Unione Europea, all’Art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Ne è espressione l’Art 10 del D.Lgs n. 59/2010, (di recepimento nell’ordinamento nazionale della c.d. Direttiva Servizi, 2006/123/CE), che chiarisce che “l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica e non possono essere sottoposti a limitazioni non giustificate o discriminatorie".
Sul fronte opposto, gli albergatori si sentono pregiudicati dal fenomeno degli affitti brevi e percepiscono questo DDL come insufficiente ad impedire quella che chiamano “concorrenza sleale” degli appartamenti. Come possono essere tutelati?
Gli albergatori sono pregiudicati dal fenomeno degli affitti brevi in quanto l’offerta del loro prodotto, il soggiorno, si è ampliata consentendo l’ingresso a soggetti sottoposti a regole ed adempimenti meno rigidi. Per questo usano l’espressione (atecnica, ma efficace) “concorrenza sleale”. Soprattutto nei confronti dei proprietari privati, che operano con modalità spesso disinvolte, più difficili da controllare.
La soluzione sta innanzitutto nella differenziazione dell’offerta al turista, non in termini di durata ma di servizi,
che per le strutture ricettive consistono nella hotellerie, in misura graduata in funzione della tipologia scelta. Ma sarebbero utili interventi volti allo sgravio dei costi e a una miglior incisività di controlli e sanzioni per chi opera in posizione irregolare, volta a dissuadere la concorrenza di coloro che operano disconoscendo le regole offrendo così prezzi più bassi.
Quando parliamo quindi di corretta e libera concorrenza e di principi di proporzionalità, ragionevolezza e non discriminazione, cosa si intende?
Il principio di ugualianza o non discriminazione (Art. 3 Cost.) è uno dei principi fondamentali del nostro sistema Costituzionale e in questo ambito impone di non trattare diversamente situazioni analoghe, senza una ragione giustificativa. Come riflesso alla libera iniziativa economica, anche la libera concorrenza è un bene tutelato, non solo dal nostro ordinamento (la “tutela della concorrenza” è materia di competenza statale, Art. 117, c. 2, lett. e)) ma anche dai Trattati Ue (Cfr. ad es. Artt. da 101 a 109 TFUE).
Infatti, l’Autorità Garante della concorrenza e del Mercato (Antitrust) - autorità amministrativa indipendente italiana - si è già espressa chiarendo che una norma restrittiva (nel caso, quella laziale contenuta nella L.R. 8/2022, all’Art. 4) “relativa alla disciplina della sola attività di natura non imprenditoriale di locazioni di immobili ad uso residenziale per fini turistici … costituisce non solo un’ingiustificata restrizione della libertà di iniziativa economica, ma rappresenta altresì una discriminazione nei confronti sia delle attività ricettive svolte in forma imprenditoriale, sia delle altre attività ricettive svolte in forma non imprenditoriale non espressamente indicate nella norma, quali ad esempio le attività di casa vacanza e di bed ad breakfast, risultando quindi non proporzionate e discriminatorie, in quanto operanti solamente con riferimento a una particolare categoria di attività turistico-ricettive”.
E le esigenze abitative di studenti, giovani lavoratori o famiglie che hanno difficoltà a trovare casa nei Centri storici?
Una delle finalità dichiarate in questa bozza di Disegno di Legge è effettivamente la salvaguardia della “residenzialità dei centri storici”e il tentativo di “impedirne lo spopolamento”. Tuttavia, il diritto a risiedere nei centri storici proprio non esiste nel nostro ordinamento. Nemmeno a favore degli studenti. Per di più alcune città, come Milano, segnalano un aumento non solo di turisti ma anche di residenti.
Quindi il problema dello spopolamento, quando esiste, andrebbe affrontato diversamente, così come le esigenze abitative di alcune categorie economicamente più deboli.
Le risposte alle esigenze delle giovani coppie e degli studenti vanno ricercate in politiche più ampie, come gli investimenti per gli alloggi dedicati specificatamente agli studenti (come si propone la Missione 4 del PNRR) o specifiche politiche per la casa, di edilizia residenziale pubblica e housing sociale.
Abbiamo visto che solo una legge dello Stato può disciplinare i contratti di locazione. Come mai, dunque, alcuni Sindaci stanno proponendo regole diverse?
Il Comune ha funzioni amministrative. Oltre a doversi attenere a tutti i principi di cui sopra, quindi, non può emanare leggi e certamente non può derogare alla normativa nazionale sui contratti di locazione o limitare l’autonomia negoziale dei cittadini. Ha però potestà normativa in alcune aree attribuitegli dalla legge (Art. 118 Costituzione) come accaduto, quanto alle locazioni brevi, nelle due esperienze di Roma Capitale e del Comune di Venezia. Entrambe le situazioni, non prive di criticità, rappresentano realtà caratterizzate da particolari specificità.
La normativa laziale (Legge regionale), in realtà, come si è visto, ha ricevuto parere sfavorevole dell’Antitrust. Quanto al Comune di Venezia, la legge nazionale (Art. 37 bis del D-L 17 maggio 2022, n. 5, conv in L. 15 luglio 2022, n. 91), consente al Comune di “integrare i propri strumenti urbanistici con specifiche disposizioni regolamentari per definire, in modo differenziato per ambiti omogenei, con particolare riguardo al centro storico e alle isole della laguna veneziana, i limiti massimi e i presupposti per la destinazione degli immobili residenziali ad attività di locazione breve”.
Anche in questo caso, dunque, correttamente è stato consentito al Comune uno specifico intervento sul governo del territorio, e non sul contratto di locazione.
Per di più il provvedimento si pone all’interno di un più ampio contesto volto a contenere l’overtourism lagunare: restrizioni che passano anche (anzi, prima) dalla limitazione degli ingressi dei turisti escursionisti giornalieri.
E le esigenze dei turisti?
Certo, anche i turisti godono di diritti tutelati dal nostro sistema. Come in ogni ordinamento liberal-democratico, la libertà di ciascuno deve confrontarsi con quella degli altri, compresa quella di vuole muoversi liberamente per godere delle bellezze di un luogo o di una città in cui non ha la fortuna di abitare. Ogni cittadino italiano ed europeo (ma certamente non può essere discriminato il turista extra-UE), è dunque tutelato da principi inviolabili di carattere generale, come la libertà di circolazione e la libertà di stabilimento, che sono tra i capisaldi della cittadinanza europea. Quanto ai soggetti extra UE, esistono trattati internazionali che ne disciplinano libertà e limiti.
Come deve dunque muoversi il Governo o chiunque sia chiamato a legiferare sugli “affitti brevi”?
Il fenomeno delle locazioni brevi con finalità turistica va a toccare una molteplicità di interessi contrapposti e l’organo legislativo statale è costretto ad operare un difficile bilanciamento di interessi.
Partendo dunque dal sentire delle diverse categorie di cittadini, dovrà scrupolosamente rispettare l’ordine gerarchico dei diritti e dei beni tutelati dai principi della Costituzione e dei Trattati europei, avendo chiaro quali possono essere compromessi e in che misura. Come si opera, del resto, in uno Stato di diritto.
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