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Affitti brevi in condominio
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La polemica sui limiti agli affitti brevi nelle città coinvolge anche la contrapposizione tra i proprietari di appartamento all’interno dei condomìni. Una lite che finisce spesso nelle aule dei nostri tribunali. Da un lato, i condòmini che vogliono sentirsi liberi di affittare le proprie unità immobiliari come preferiscono, e quindi anche per brevi periodi, magari per poterne comunque fruire ogni tanto per un figlio che saltuariamente ne ha bisogno, oppure perchè non vogliono rischiare morosità o la mancata liberazione alla scadenza, oppure perché con questa modalità beneficiano di maggior reddito.

Dall’altro, i condomini infastiditi dal via vai di persone sconosciute, spesso rumorose e con abitudini diverse, che contestano non solo gli affitti brevi ma anche gli affitti a studenti, altrettanto malvisti specie nei condomìni tranquilli ed eleganti delle zone centrali di alcune città. Sul punto, i giudici hanno chiarito in modo sempre più conforme diritti e limiti dei condòmini e i mezzi a loro disposizione per fare cessare i comportamenti ritenuti “molesti”. Ne parliamo con Donatella Marino, Giada Beghini e Tamara Corazza, avvocati professionisti di Hospitality Law Lab, con specifiche expertise nel Real Estate residenziale e turistico.

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Un regolamento di condominio (o di super condominio) può specificare cosa i proprietari delle unità immobiliari possono (o non possono) fare nei loro appartamenti?

“Il regolamento di condominio di natura contrattuale, di solito predisposto dal costruttore, può o vietare alcune destinazioni d’uso o imporre limiti a carico delle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva dei condomini”, risponde Donatella Marino, “ma i limiti devono essere previsti in modo chiaro e circoscritto, espressi in maniera inequivoca e per essere opponibili ai nuovi acquirenti devono essere adeguatamente resi pubblici con regolare trascrizione o, in mancanza, con accettazione espressa della parte acquirente” (Cfr. Cass. 27257/2019).

Se il regolamento condominiale non prevede queste limitazioni, cosa possono fare i condomini infastiditi?

“L’Assemblea dei condomini può comunque prevedere, con le maggioranze previste dal Codice Civile, norme specifiche che impongono limiti non sulle singole proprietà ma sull’uso delle cose comuni, poste a tutela di beni di rilevanza condivisa, come la sicurezza, il decoro, la tranquillità o simili”,

continua Marino, “per esempio imponendo il “silenzio” o vietando certi rumori in certi orari, o il divieto di fumare nelle aree comuni, o di sostare prolungate negli androni o uso improprio degli ascensori”. Si tratta di norme obbligatorie per tutti i condomini, evidentemente, e per la cui violazione è anche possibile prevedere sanzioni pecuniarie”.

Quando il regolamento condominiale prevede sanzioni cosa succede in caso di violazione?

“L’Art. 70 delle Disposizioni attuative del Codice civile prevede che per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a 200 Euro, e, in caso di recidiva, fino a 800 Euro”, risponde Giada Beghini, “la somma è devoluta al fondo di cui l'Amministratore dispone per le spese ordinarie. La sanzione è irrogata a seguito di delibera dall'Assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del Codice Civile.

La norma, tuttavia, non compare nell’elenco di quelle inderogabili; quindi, nulla vieta che il Regolamento di condominio (o super condominio) attribuisca ad un organo diverso dall’Assemblea il potere di irrogare la multa, ad esempio, direttamente l’Amministratore condominiale (Cfr. Tribunale Brescia 2032/2022). Se il condòmino moroso non adempie spontaneamente, poi”, continua Beghini, “il rimedio per il recupero delle somme è quello tradizionale davanti all'Autorità Giudiziaria competente ex Art. 63 delle disposizioni attuative del Codice civile e quindi, con ricorso per decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, presentabile dall’Amministratore”.

Se esiste il divieto ma non la sanzione, cosa fare per far cessare l’attività?

Risponde Tamara Corazza, “è l’Amministratore di condominio, tra le varie attribuzioni, ad essere tenuto a curare l’osservanza del regolamento (Art. 1130 c. 1 n. 1 c.c.). Ciò significa che egli ha titolo per promuovere una lite al fine di ottenere il rispetto del regolamento anche senza previa delibera dell’Assemblea, in virtù del potere che gli viene riconosciuto dal Codice civile (Cass. 11841/2012). Attenzione però. La materia condominiale è una di quelle per le quali è previsto il procedimento di mediazione obbligatorio, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Per l’Art. 71 quater delle disposizioni attuative al Codice civile fanno parte delle controversie in materia di condominio, sottoposte a mediazione obbligatoria, quelle derivanti dalla violazione o dall'errata applicazione delle disposizioni agli Artt. da 1117 a 1139 del Codice civile e alle previsioni, in materia di condominio, disciplinate nelle disposizioni di attuazione dello stesso Codice”.

“A seguito della c.d. Riforma Cartabia (D.Lgs 10 ottobre 2022, n. 149)”, continua Corazza, “che ha introdotto l’Art. 5-ter al D.Lgs 4 marzo 2010, n. 28 sul procedimento di mediazione, a partire dal 30 giugno scorso, l’Amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi.

Ciò significa che può farlo senza previa autorizzazione dell'Assemblea dei condomini. Saranno poi il verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore ad essere sottoposti all'approvazione dell'Assemblea condominiale, la quale dovrà deliberare entro il termine fissato nell'accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall'articolo 1136 del Codice civile. In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa".

E se l’Amministratore non interviene?

“Anche recentemente

,la Corte di Cassazione (Cfr. Cass. 16934/2023)” conclude Beghini, “ha affermato che il singolo condomino conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei suoi diritti di comproprietario "pro quota" delle parti comuni,

con la possibilità di ricorrere all'Autorità Giudiziaria nel caso di inerzia dell'amministrazione del condominio (a norma dell'Art. 1105 del Codice Civile dettato in materia di comunione, ma applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio posto dall'Art. 1139 del Codice.). Anche il singolo condomino potrà quindi adire l’Autorità Giudiziaria (previo, quando richiesto come condizione di procedibilità, esperimento del tentativo di mediazione)”

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