Si esce dalle crisi amando e apprezzando la vita più di prima, con maggiore voglia di reagire e fare insieme, sicuramente con accresciuta solidarietà. Di conseguenza è necessario utilizzare questo momento particolare per pensare sin da subito un’agenda per la ripartenza, per esaminare la nostra situazione e cercare di progettare il futuro.
È chiaro che gli effetti della pandemia si sono rivelati più acuti, naturalmente, dove vi è maggiore densità di abitanti: le grandi città. Così, si rende necessario un ripensamento delle strategie che negli ultimi anni si sono attuate: le previsioni delle Nazioni Unite indicano che nel 2050 il 68% della popolazione mondiale vivrà nelle città. È giunto il tempo di interrogarci se l’urbanizzazione debba essere l’unico modello di sviluppo.
Tuttavia non è pensabile neppure il contrario, cioè puntare sulla campagna e sul suo futuro come luogo principale dell’abitazione dell’uomo. La natura umana è fatta per la comunità, vivere in realtà è convivere e sempre viviamo con gli altri. Abbiamo necessità di stare insieme e la città (la nostra invenzione più intelligente) è per sua natura composta da tipi diversi di uomini: le persone simili non possono dar vita a una città.
La domanda è quindi: come possiamo trovare una valida alternativa sia allo sviluppo delle grandi città sia alla dispersione eccessiva in campagna? Se ci pensiamo bene, basta osservare con attenzione la nostra situazione. L’Italia è in realtà una rete di città medie e piccole inserite in una natura unica ed eccezionale. Questa caratteristica, descritta con intelligenza nel padiglione italiano nell’ultima Biennale di architettura di Venezia Arcipelago Italia, può costituire la base concreta di un futuro pensato a partire dal reale e non da pensieri già dati o da teorie astratte. È proprio la varietà delle forme insediative il punto di forza: contesti urbani e rurali, densi e radi.
Città medie
Conseguentemente è proprio dalle città medie che può venire un futuro di sviluppo intelligente senza una crescita esagerata che, purtroppo, è divenuta molte volte escrescenza. I nostri spazi urbani che funzionano da mille anni funzionano anche oggi, eccome. Conviene imparare dal passato coniugandolo con il nostro presente. Le città svolgeranno anche un ruolo cruciale nel riequilibrio dei fattori associati allo stress economico e psicologico, ridurre gli inquinanti e attenuando l'impatto ambientale causato dai trasporti, dalle fabbriche e dal tessuto urbano. ç
La rivoluzione dei trasporti è fondamentale per impostare una mobilità più intelligente: le strade non sono fatte solo per le automobili. Dobbiamo abbandonare una concezione dell’urbanistica come il luogo del puro controllo con regole quantitative rigide e immutabili (un delirio burocratico) mentre in realtà dovrebbe essere una visione di come vediamo il futuro.
Certo, è necessario cambiare il nostro modo di concepire le città per non ripetere gli errori del passato con interventi massicci imposti dall'alto nel completo disinteresse per la vita reale degli abitanti, conviene quindi riattivare la partecipazione (sono le persone che contano), l'ascolto, l'umiltà dell'architetto condotto (come il medico di famiglia), recuperare la memoria del passato di materiali e di sapienza non scritta dell'artigiano utilizzando tuttavia le tecnologie di oggi, concepire l'architettura non come un gioco formale ma come la capacità di accrescere la qualità della vita degli abitanti.
Penso che con tanti piccoli rammendi (recuperando questa pratica del passato proposta da Renzo Piano), tante piccole "agopunture urbane" realizzate con importi limitati con una grande diffusione e in tempi di realizzazione brevi, qualcosa potrà cambiare. Forse non è utopistico cercare di ipotizzare una nuova economia che si occupi della cura delle città. L’Italia è piena di edifici vuoti, il nostro compito è di riabitarla rigenerando il costruito, gli edifici abbandonati con nuovi usi tutti da inventare.
A questo punto conviene recuperare una cosa molto importante che sembra proprio essersi persa: l’urbanità.
Urbanità
L’urbanità è la virtù necessaria ad abitare bene nel consorzio umano. È una caratteristica che si im-para in relazione ai tanti problemi che nascono nelle comunità estese. Purtroppo oggi è necessario cercare di interrompere quella follia che vuole la città come una sola grande occasione di conflitto. Questo è svilente non solo della bellezza dei luoghi urbani ma anche e soprattutto dell'idea di citta-dinanza e dell'idea stessa di città. Idee che nel Bel Paese si sono formate attraverso i secoli divenen-do parte del nostro carattere, del nostro pensare e agire quotidiano, del nostro stesso sguardo.
La città deve tornare a essere un motore dell'immaginario, capace di essere ospitale, di offrire sicu-rezza, di generare narrazioni, di proporre possibilità di lavoro, di aumentare il rapporto con la natu-ra, di mettere in moto emozioni e sorprese. Di educare alla vita e alla bellezza civile riacquistando la sua vera urbanità.
La recente consapevolezza della nostra fragilità ci renderà tutti più solidi e durevoli. Così, forse siamo pronti per una nuova arte del vivere ritrovando la giusta misura di abitare il nostro tempo.
Infine, speriamo: la speranza è la sostanza della nostra vita.
Marco Ermentini è un architetto specializzato nel recupero e nel restauro. Fa parte dello studio Ermentini Architetti, un laboratorio dell’arte dell’abitare. Collabora con Renzo Piano per il rammendo delle periferie.
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