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In queste ore nel quali si susseguono illazioni e indiscrezioni sulla possibile uscita della Grecia dall'euro, la domanda che tutti si pongono è “ci saranno conseguenze in Italia di un eventuale default ellenico?”

Il -5,17% con il quale Piazza Affari ha chiuso lunedì la sua prima seduta, dopo che la frattura tra il governo greco e i suoi creditori si è allargata nel week end, è di per sé una risposta. Un tonfo così pesante della borsa, a giochi ancora in corso e che quindi non lascia prevedere nulla di buono in caso la situazione dovesse precipitare ulteriormente, riguarda tutti, anche chi non ha azioni nel proprio portafoglio. Soprattutto perché è principalmente un settore ben preciso a finire nel mirino delle vendite: quello bancario, che sul listino milanese ha un grande peso.

Esposizione delle banche nostrane

E questo nonostante gli istituti di credito nostrani si siano mostrati molto prudenti nei confronti della situazione greca, riducendo la loro esposizione ad appena 800 milioni di euro, sui 315 miliardi che formano il valore complessivo del debito greco. La cifra, calcolata in uno studio del think tank belga Bruegel, è stata confermata dal presidente dell’Abi Antonio Patuelli.

Ma non sono solo i crediti diretti nei confronti del tesoro ellenico ad appesantire l’andamento del comparto creditizio in Italia (e non solo). Un fallimento della Grecia porterebbe turbolenza su tante altre componenti degli impieghi bancari. Il primo, e più immediato, è quello dei titoli del debito pubblico italiano. Lo spread tra Btp e Bund ha già abbandonato i minimi raggiunti durante quest’anno, arrivando a toccare i 164 punti nella giornata di ieri. Ma il peggioramento ulteriore dello scenario provocherebbe, con ogni probabilità, un’impennata ben peggiore, che porterebbe, tra l’altro, a incrementare il costo della nuova emissione di buoni del Tesoro.

Fortunatamente, via XX settembre ha approfittato dei bassi tassi di interesse, nella prima parte dell’anno, anticipando fortemente il rifinanziamento del debito: ad aprile la raccolta aveva già superato il 42% del programma annuale, con un allungamento del la scadenza dei titoli. E, tutto sommato, finora le aste hanno registrato solo moderati incrementi dei tassi, a fronte di continui “tutto esaurito”, nonostante siano aumentate non solo le tensioni per la situazione greca, ma anche quelle geopolitiche relative al braccio di ferro con la Russia sulla questione ucraina e ai flussi di migranti in arrivo dal Nord Africa e dalla Siria.

Lo scudo del quantitative easing

Rispetto alle turbolenze di qualche anno fa, inoltre, l’Italia, così come gli altri Paesi definiti “periferici”, gode dello scudo del quantitative easing avviato dalla Bce nel 2015.  L’acquisto massiccio di titoli pubblici, nato come misura per combattere la deflazione, farebbe anche da misura anticontagio in casi di attacchi sui mercati finanziari.

Poco dovrebbe importare, invece, un eventuale fallimento della Grecia agli esportatori. Appena lo 0,9% delle vendite all’estero, pari allo 0,2% del Pil, si dirige verso il Mar Egeo.

Difficile, invece, sarà rivedere, almeno una parte dei soldi prestati alla Grecia. Innanzitutto i prestiti bilaterali concessi dal governo italiano a quello di Atene, che ammontano a 10 miliardi di euro. Ma soprattutto le quote di partecipazione nostrane ai fondi salva stati Efsf e Esm che sono state destinate alle casse elleniche, pari, rispettivamente a 23,3 e 14,2 miliardi di euro.

Ma ben altri sono gli effetti che produrrebbe un default incontrollato sull’altra sponda del Mediterraneo. A meno di un clamoroso colpo di scena, sia che vinca il “sì” che se vinca il “no” al referendum, la Grecia è attesa ancora da lunghi anni di austerity, prima di riuscire a ritrovare una via per lasciarsi definitivamente alle spalle questi anni dolorosi.

 

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