C'è una misura voluta per tutelare tutte quelle lavoratrici che, a causa di condizioni di lavoro rischiose o incompatibili con la salute della madre o del neonato, necessitano di più tempo rispetto ai cinque mesi di base previsti dalla normativa vigente. Si tratta del prolungamento della maternità obbligatoria fino a 7 mesi.
Nota più propriamente come interdizione post-partum, l’estensione a 7 mesi viene solitamente concessa quando le condizioni ambientali o le mansioni svolte risultano pregiudizievoli e, contestualmente, non è possibile assegnare alla madre una posizione alternativa. Ma quali sono i requisiti per accedervi?
Cosa succede dopo i 5 mesi di congedo di maternità
Sia per le donne in dolce attesa, che per coloro che hanno già accolto il loro neonato, la legge prevede delle tutele lavorative. Ad esempio, il D.Lgs 151/2001 ha introdotto un congedo di maternità obbligatorio di cinque mesi, durante i quali la madre può ricevere una retribuzione fino al 100%.
Generalmente, i cinque mesi previsti sono suddivisi in due momenti differenti:
- due mesi prima del parto;
- tre mesi dopo il parto.
Ma cosa succede al termine delle tempistiche standard previste dalla legge? Conclusi i cinque mesi di congedo di maternità obbligatorio, le lavoratrici hanno a disposizione diverse opzioni, ai sensi del D.Lgs 151/2001, del D.Lgs. 81/2008 e della la Circolare INL 6/2019:
- rientrare al lavoro, se le condizioni lo consentono e non vi sono rischi per la salute della madre o del neonato;
- accedere al congedo parentale facoltativo, che prevede la possibilità di allungare il periodo di astensione dal lavoro fino a sei mesi, con tuttavia una retribuzione al 30% dello stipendio;
- usufruire di permessi speciali, come quelli per l’allattamento, che consentono di ottenere due ore di riposo retribuito giornaliero durante il primo anno di vita del bambino;
- richiedere il prolungamento del congedo di maternità obbligatoria fino a 7 mesi, in caso le mansioni o l’ambiente lavorativo siano incompatibili con il post-partum, l’allattamento o la salute della madre e del bambino.
È però utile sapere che il prolungamento della maternità obbligatoria fino a 7 mesi dopo il parto può essere concessa solo in presenza di rischi specifici, opportunamente documentati, come si vedrà anche nei prossimi paragrafi. Inoltre, il datore di lavoro si dovrà trovare impossibilitato ad assegnare alla lavoratrice delle mansioni alternative.
Come prolungare la maternità fino al settimo mese
Come accennato nel precedente paragrafo, le lavoratrici che corrono dei rischi post-partum possono accedere all’interdizione post-partum fino al settimo mese, purché le situazioni che rendono incompatibile l’attività lavorativa siano sufficientemente comprovate. Ma quali requisiti serve rispettare e, soprattutto, qual è il ruolo del datore di lavoro?
I requisiti per il prolungamento della maternità
Per estendere il periodo di congedo di maternità oltre ai 5 mesi di base previsti dalla legge, è necessario innanzitutto verificare la presenza di alcuni requisiti. In particolare, la lavoratrice dovrà trovarsi in una situazione in cui:
- le condizioni di lavoro o ambientali si rivelerebbero pregiudizievoli, ovvero potrebbero compromettere la salute della madre e, di conseguenza, anche quella del neonato tramite attività quali l’allattamento. Tali condizioni sono esplicitate negli allegati A e B del D.Lgs 151/2001 e possono comprendere, a titolo esemplificativo, l’esposizione a sostanze chimiche, rumori superiori agli 80 decibel e altri rischi, ma l’interdizione può essere disposta anche per ulteriori motivi;
- le mansioni sono pericolose, insalubri o faticose, tali da prevedere sforzi fisici, turni notturni o posizioni che aumentano i rischi post-partum, come previsto dal D.Lgs. 151/2001, che ha integrato le disposizioni del DPR 1026/1976;
- sussistono gravi motivi di salute della dipendente o del bambino, anche indipendentemente dalle mansioni, come previsto dalla Circolare INL 6/2019.
Affinché l’estensione possa essere concessa, è però necessario che il datore di lavoro non possa trasferire la lavoratrice su altre mansioni alternative, così da eliminare i rischi in questione. In questo caso, l’Ispettorato del Lavoro potrà emettere un provvedimento di interdizione prolungata dall’attività lavorativa.
Ancora, in caso di esito positivo della richiesta di estensione, con il prolungamento della maternità obbligatoria fino a 7 mesi, la retribuzione può arrivare al 100%, con un’indennità INPS all’80% e un’integrazione da parte del datore di lavoro in base al CCNL.
Il ruolo del datore di lavoro
In base al D.Lgs 81/2008, ovvero il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, il datore di lavoro ha l’obbligo di valutare i rischi specifici per le lavoratrici da poco divenute madre, certificando il tutto tramite il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR). In caso le condizioni non siano compatibili con le necessità della dipendente, il datore può avvalersi di diverse opzioni:
- modificare temporaneamente le mansioni lavorative, eliminando così i rischi specifici, ad esempio gestendo in modo differente turni e pause;
- assegnare mansioni alternative, purché venga mantenuta stessa retribuzione o qualifica;
- presentare richiesta all’ispettorato del lavoro per il prolungamento della maternità obbligatoria a 7 mesi, con il modulo INL 11.
È quindi importante ribadire che la valutazione del rischio non spetta alla lavoratrice, che può certamente manifestare situazioni di disagio, ma al datore di lavoro.
La retribuzione al 100% durante l’estensione
Come già accennato, durante il periodo di astensione fino a 7 mesi per la maternità obbligatoria, la retribuzione al 100% è spesso garantita alla lavoratrice: l’indennità sarà a carico all’80% all’INPS, in base alla retribuzione media giornaliera calcolata sull’ultimo periodo di paga antecedente al congedo, a cui si aggiunge l’integrazione del datore di lavoro, che anticipa l’indennità e la recupera tramite conguaglio contributivo dall’INPS, in base al CCNL applicabile. Per quanto la gran parte dei CCNL preveda la possibilità di integrazione completa, in alcuni casi questa possibilità non è prevista, limitando la retribuzione all’80%.
È però utile sapere che, con il prolungamento della maternità obbligatoria fino a 7 mesi, l’INPS e il datore di lavoro riconoscono anche i contributi per la pensione ed eventuali mensilità aggiuntive, come ad esempio la tredicesima, come sempre previsto dal D.Lgs. 151/2001.
Inoltre, bisogna sottolineare che l’estensione della retribuzione non è incompatibile con altre agevolazioni, quali l’assegno di maternità.
I casi particolari del congedo di maternità
La possibilità di estensione del congedo di maternità oltre i cinque mesi di base rappresenta una delle tante alternative a disposizioni delle madri, oltre a quelle già trattate nei precedenti paragrafi. Vi sono però dei casi particolari che permettono di accedere a specifici prolungamenti o, ancora, ad altre tipologie di tutele:
- la flessibilità del congedo, che permette alla madre di posticipare l’avvio del periodo di astensione di lavoro fino al mese precedente al parto, così da prolungare quello successivo alla nascita del figlio. È però necessario certificare l’assenza di rischi, tramite apposite certificazioni del ginecologo e del medico competente a livello aziendale;
- il recupero dei giorni in caso di parto prematuro, che permette di aggiungere le giornate precedentemente non godute al periodo post-partum, superando così anche i cinque mesi di base;
- la sospensione del conteggio dei giorni del congedo post-partum in caso di ricovero del neonato, con la possibilità di riprenderlo dopo le dimissioni, previa certificazione medica.
Come si può richiedere la maternità obbligatoria per 7 mesi
Ma come si procede alla richiesta di estensione della maternità fino a 7 mesi? La procedura prevede degli specifici passaggi che, solitamente, vengono avviati dalla stessa dipendente.
Il primo passo prevede la comunicazione al datore di lavoro dell’avvenuto parto, entro 30 giorni dallo stesso, fornendo il certificato di nascita del bambino oppure una dichiarazione sostitutiva. A questo punto:
- il datore di lavoro valuta i rischi e l’eventuale incompatibilità delle mansioni o dell’ambiente lavorativo, in base al DVR;
- se le condizioni non permettono alla lavoratrice il rientro, deve essere mandata domanda di estensione all’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente. Se la richiesta è inoltrata dal datore di lavoro, il modulo necessario è l’INL 11, mentre se dalla lavoratrice, l’INL14. Bisognerà inoltre allegare il certificato di nascita o l’autocertificazione, la copia del DVR o la dichiarazione del datore sull’incompatibilità ed eventuale documentazione medica, richiesta dall’Ispettorato solo per casi specifici, come in presenza di rischi sanitari particolari;
- l’ispettorato emette un provvedimento di interdizione, di norma entro 7 giorni dalla ricezione della documentazione, salvo casi complessi che richiedano ulteriori verifiche;
- il datore di lavoro, ricevuta conferma dall’Ispettorato, informa l’INPS del prolungamento tramite flusso Uniemens, per la corretta erogazione dell’indennità.
Si ricorda che, per quanto la comunicazione all’INPS sia diretta da parte del datore a seguito del provvedimento dell’Ispettorato, la lavoratrice deve comunque ricordarsi di:
- inviare all’INPS per via telematica, tramite il medico, il certificato di gravidanza prima del parto;
- comunicare all’INPS dopo il parto la data di nascita e le generalità del bambino entro 30 giorni, tramite il portale online o avvalendosi dei patronati.
In caso di dubbi, è possibile chiedere preventivamente al datore di lavoro, agli uffici dell’INPS o ai patronati di competenza per la propria posizione lavorativa.
per commentare devi effettuare il login con il tuo account