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Npl, per smaltire le sofferenze è necessario anche un recupero delle quotazioni immobiliari
GTRES

Una delle eredità della crisi economica è stata sicuramente un'incidenza senza precedenti dei non performing loans (Npl), il cui numero è sostanzialmente quadruplicato dal 2008 ad oggi. La situazione del mercato e le possibili soluzioni sono state al centro di un convegno promosso dall'Università Cattolica di Milano che ha visto la partecipazione delle autorità pubbliche e degli investitori privati.

Il convegno “I non-performing loans tra politiche di vigilanza e mercato”, promosso dall’Università Cattolica con la comunità di thecreditriskclub.it e con CRIF,  ha messo a confronto le posizioni di diversi soggetti, Commissione Europea, BCE, Banca d’Italia, EBA, CRIF, ABI, banche e grandi investitori, facilitando un confronto tecnico per la ricerca di soluzioni e strumenti per superare l’emergenza.

Perché ci sono tante sofferenze nei bilanci delle banche?

L’elevato stock di NPL deriva dalla crescita delle nuove sofferenze e dalla sostanziale stabilità dei tassi di estinzione. Il primo elemento risente della capacità reddituale e patrimoniale dei debitori; da questo punto di vista la situazione resta critica, posto che il tasso di disoccupazione, se pur in lieve calo nell’ultimo triennio, a fine 2016 si attesta al 11,5% (al terzultimo posto nell’Area Euro) mentre il numero dei fallimenti nel 2016, pur inferiore al picco del 2014 (circa 13.500 contro 15.300) resta comunque doppio rispetto al 2007.

La stabilità dei tassi di estinzione risente dell’elevata durata media (circa 7 anni) dei recuperi, anche a causa delle lentezze del sistema giudiziario italiano. Quest’ultima criticità è stata affrontata con nuove normative (come i DLGS 83/2015 e 59/2016) e investimenti in digitalizzazione (si pensi ai nuovi servizi presenti sul portale del Ministero della Giustizia).

Secondo i dati presentati da CRIF, la durata media delle procedure fallimentari è stata di circa cinque anni nel 2016, in calo del 3% sull’anno precedente. Per le procedure esecutive immobiliari si registra, invece, una durata media di 5,0 anni (4,4 al Nord, 6,4 al Sud), sostanzialmente stabile rispetto al 2015. Per generare miglioramenti stabili e consistenti, serviranno tempo e ulteriori investimenti.

Cosa possono fare le banche?

Oltre a ridurre la durata dei contenziosi, le banche devono ovviamente attrezzarsi per massimizzare i recuperi, che dipendono dalle caratteristiche delle esposizioni in sofferenza. Considerato che molti NPL sono garantiti da real estate (il 34,6% delle famiglie con crediti in sofferenza possiede almeno un fabbricato, dato che sale al 36,0% per le imprese), è necessario che si consolidi l’attuale timida ripresa delle quotazioni immobiliari, per ora concentrata nelle zone metropolitane. 

È poi necessario migliorare il coordinamento tra le singole banche, posto che da un’analisi realizzata sulla base del patrimonio informativo di Eurisc - il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF che raccoglie i dati su oltre 80 milioni di posizioni creditizie -  si rileva che circa il 36,5% degli NPL coinvolgono più di un istituto. 
Per generare recuperi più elevati, dunque perdite minori per il conto economico, è necessario migliorare l’efficienza dei processi utilizzati e la qualità delle informazioni disponibili.

C’è un problema di archivi informatici?

“I dati associati ai crediti deteriorati sono spesso ancora oggi di scarsa qualità - spiega Alberto Sondri, Servicing Director di CRIF -. Ciò è dovuto alla limitata informatizzazione dei processi di gestione del contenzioso che ha caratterizzato gli anni del picco della crisi, posto che banche e operatori specializzati hanno incrementato gli investimenti in IT solo negli ultimi anni. Ciò ha indebolito la capacità di presidiare in modo efficiente la raccolta e la sistematizzazione delle informazioni su contratti, procedure e garanzie”.

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