
Dopo il via libera della Camera dello scorso 21 novembre, la proposta di legge 24 luglio 2024, n.1987, ribattezzata “Salva Milano” è approdata al Senato in commissione Ambiente. La sua approvazione dovrebbe invece slittare a gennaio. Nel frattempo però proseguono le polemiche sia dentro, sia fuori dalle aule parlamentari.
Ma che cosa prevede il testo del decreto e perché sta alimentando un dibattito molto accesso tra gli addetti ai lavori? Proviamo a fare chiarezza su questo provvedimento che riguarda una materia tanto tecnica, quanto potenzialmente in grado di trasformare il volto delle città italiane. E non solo del capoluogo milanese.
Che cos'è il Salva Milano e cosa prevede
Il motivo principale per cui la proposta di legge è stata formulata è quello di sbloccare i circa 150 cantieri che nei mesi scorsi la Procura di Milano ha posto sotto sequestro per presunti abusi edilizi.
Il Salva Milano, nella sua formulazione attuale, prevede infatti che per l’edificazione di nuovi immobili su singoli lotti e per la sostituzione edilizia attraverso demolizione e ricostruzione con volumi e altezze maggiori di quelli consentiti dalla legge urbanistica del 1942 e degli edifici preesistenti e circostanti, i piani attuativi comunali, fino a ora necessari per la demolizione e la ricostruzione con sagome e volumetrie differenti, non siano più obbligatori, se gli interventi edilizi sono realizzati in “ambiti edificati e urbanizzati”. Detto in termini più semplici, per costruire un grattacielo al posto di un edificio di pochi piani o di un capannone, è sufficiente presentare una Segnalazione certificata di inizio attività (Scia) per ristrutturazione se ci si trova in un’area già edificata.
Perché i cantieri sono stati bloccati
La Procura di Milano e la Guardia di Finanza di Milano, nell’ultimo anno e mezzo circa, hanno acquisito le carte di circa 40 progetti edilizi, per i quali il Comune di Milano ha rilasciato l’autorizzazione a costruire tramite scia, la “segnalazione certificata di inizio attività”.
Le indagini riguardano in particolare progetti di costruzione di edifici di grandi dimensioni, alti anche 80 metri e che contengono centinaia di appartamenti, autorizzati dagli uffici del comune con una semplice “Scia”ossia “Segnalazione Certificata di Inizio Attività”.
In pratica si tratta di una mera dichiarazione del costruttore con la quale conferma di avere tutti i requisiti necessari e che permette di iniziare i lavori senza dover attendere verifiche e controlli preliminari (che il Comune deve svolgere comunque successivamente per accertarsi che le dichiarazioni corrispondano al vero).
Per gli inquirenti però la Scia non sarebbe il metodo appropriato per realizzare grandi costruzioni, anche dopo la demolizione di un edificio preesistente, se si superano i 25 metri di altezza e una superficie di almeno 3 metri cubi per ogni metro quadrato: in questo caso, afferma la Procura, non si sarebbe di fronte ad una “ristrutturazione”, ma a una costruzione nuova vera e propria, e come tale andrebbe trattata, utilizzando il rilascio di un più complesso permesso o realizzando un nuovo piano attuativo, con la valutazione d’impatto sul territorio circostante e “oneri di urbanizzazione” più alti di quelli richiesti.
Quando in un’area vengono costruiti edifici così grandi, lo sviluppatore deve pagare al Comune i cosiddetti oneri di urbanizzazione per realizzare parcheggi aggiuntivi, aree verdi, scuole e asili per i nuovi occupanti e in modo tale che tutti gli abitanti nella zona possano accedere a servizi sufficienti. Secondo la magistratura, però, le cifre corrisposte al Comune per gli oneri di urbanizzazione in alcuni casi sarebbero troppo basse.
Che cosa stanno facendo il Comune di Milano e Sala
Il Comune di Milano intanto ha chiesto ai propri funzionari, con una delibera a febbraio 2024 e con successive linee guida, di rilasciare d’ora in poi autorizzazioni a costruire solo attraverso permessi o piani attuativi, qualora si superino i parametri indicati dalla legge Ponte del 1967 (quella che sostanzialmente prende come riferimento la Procura di Milano) che dispone appunto, per una nuova costruzione caratterizzata da un’altezza superiore ai 25 metri e/o un volume di oltre tre metri cubi per metro quadrato, la necessità di un “Piano attuativo”. Da qui la paralisi dei nuovi sviluppi immobiliari nella città e la necessità di un rimedio “politico” oltre che amministrativo.
Il disegno di legge approvato dalla Camera
Nell’attesa del passaggio definitivo del Ddl al Senato, l’approvazione SalvaMilano da parte della Camera è stata accompagnata da diverse polemiche e al crearsi di due schieramenti contrapposti.
Da una parte in questo momento c’è chi definisce la proposta di legge come il riconoscimento di una “prassi” ormai in uso anche presso altri Comuni per superare leggi non più adeguate al contesto attuale. Secondo i sostenitori il provvedimento rappresenterebbe inoltre una risposta alle famiglie, ai professionisti, agli imprenditori che hanno fatto investimenti in città e che hanno subito il blocco dei cantieri.
Secondo l’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), “quella venuta fuori alla fine è la soluzione migliore” anche se la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio, ha evidenziato più volte che serve un riordino complessivo della materia come una nuova legge sull’urbanistica e sulla rigenerazione urbana al passo con la velocità della società.
Dall’altra parte c’è invece chi considera il provvedimento sia come un condono mascherato, sia come il via libera a un’ulteriore cementificazione selvaggia dei centri urbani dato che si stabilisce che, nell’attesa di una riforma complessiva della normativa urbanistica, un palazzo di 25 metri può essere costruito anche senza un piano attuativo, e che un capannone può essere trasformato in grattacielo ( dato che per la nuova legge costituirebbe “solo”una ristrutturazione) con un notevole impatto sul territorio.
Molti “addetti ai lavori”, infine, dopo aver fornito le loro valutazioni tecniche nel corso di un’audizione informale alla Commissione Ambiente della Camera nel mese di settembre, preferiscono invece non esprimersi ulteriormente ( in modo da evitare di partecipare a un dibattito che nel frattempo è diventato politico) e si riservano di esprimere un’opinione sul provvedimento solo una volta completato l’iter legislativo.
Salva Milano, il parere degli urbanisti
Il presidente dell’Istituto nazionale di urbanistica, Michele Talia, ha affermato che l’eventuale approvazione del disegno di legge 1987 ( nella formulazione approvata dalla Camera) determinerebbe “confusione e incertezza normativa, nonché effetti dannosi e potenzialmente irreversibili nel governo pubblico della rigenerazione urbana nel nostro Paese”.
Secondo l’Istituto nazionale di urbanistica, “ampliare ulteriormente il concetto di ristrutturazione edilizia, come fa il testo in questione, al fine di sottrarla alla verifica per legge dell’obbligo del ricorso alla strumentazione urbanistica attuativa, comporta un’ulteriore contrazione del potere di indirizzo e di discussione delle comunità urbane sui cambiamenti della città. Con il deprecabile effetto di mantenere in capo alle amministrazioni locali un semplice controllo burocratico sugli interventi edilizi e di favorire un ricorso crescente a titoli abilitativi sempre più semplificati e autocertificati”.
I limiti della ristrutturazione edilizia
Le osservazioni presentate da Confcooperative Habitat, in occasione dell’audizione alla Camera, hanno invece puntualizzato il bisogno di fare chiarezza “rispetto alla questione del quando debba entrare in gioco l’obbligatorietà del Piano Attuativo, in riferimento alle caratteristiche dell’intervento da assentire e dei limiti del concetto – formale e sostanziale – di “ristrutturazione edilizia”.
“Rispetto a tale questione”, ha sottolineato in quell’occasione Alessandro Maggioni, architetto e urbanista, presidente nazionale di Confcooperative Habitat , “riteniamo che sia necessario fare ordine su un concetto che è stato ampliato e agevolato probabilmente in maniera eccessiva. Le costanti modifiche normative hanno portato allo sconfinamento della ristrutturazione edilizia nel campo della rigenerazione urbana, provocando molta confusione. È invece necessario – indipendentemente dalla situazione milanese contingente – riportare la “ristrutturazione edilizia” (che gode altresì di forti incentivazioni finanziare, ad esempio, con la riduzione degli Oneri di Urbanizzazione in maniera importante) in un perimetro per l’appunto edilizio e non urbanistico”.
“Proponiamo, laddove vi siano significativi incrementi di volumetria rispetto all’edificio originario o importanti modifiche di sagoma e sedime di semplificare il quadro e che si rientri nella cosiddetta “Nuova Costruzione”, con la corresponsione del 100% degli oneri urbanizzativi dovuti e con la valutazione dell’impatto di tali interventi sul tessuto urbano e sulla dotazione di infrastrutture e servizi. Il 100% di oneri di urbanizzazione dovrebbe comunque sempre essere corrisposto senza riduzione ogni qual volta vi sia un cambio di destinazione d’uso”.
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