
Per decenni, l'idea che le riserve auree della Germania, tra le più grandi al mondo, potessero non essere al sicuro nei caveau della Federal Reserve Bank di New York è sembrata una teoria del complotto. Ma mentre il panorama politico a Washington cambia e sorgono domande su cosa ci sia realmente nei caveau degli Stati Uniti, alcuni legislatori tedeschi cominciano a chiedersi ad alta voce: il nostro oro è ancora al sicuro?
La Germania possiede il secondo tesoro d'oro più grande del pianeta, superato solo da quello degli Stati Uniti. Si suppone che circa il 37% di questo tesoro, pari a circa 1.236 tonnellate, attualmente valutate intorno ai 113 miliardi di euro, giaccia nelle profondità delle strade di Manhattan, custodito presso la banca centrale degli Stati Uniti. Per decenni l'accordo è stato considerato solido, poiché offriva alla Germania accesso immediato alla liquidità in dollari in caso di crisi.
Ma di recente, Marco Wanderwitz, deputato uscente del partito di centro-destra Unione Cristiano-Democratica (Cdu), ha dichiarato al quotidiano tedesco Bild (di proprietà della società madre di Politico, Axel Springer) che "la questione ora viene sollevata di nuovo". Wanderwitz nutre da tempo dubbi circa l'opportunità di detenere all'estero una quota così significativa della ricchezza del Paese. Nel 2012 tentò senza successo di ispezionare personalmente l'oro e sollecitò la Bundesbank ad agire in modo più trasparente o a riportare i lingotti a casa.
Il suo collega della Cdu, Markus Ferber, membro del Parlamento europeo, ha ribadito questa misura e ha chiesto un controllo più rigoroso. "I rappresentanti ufficiali della Bundesbank devono contare personalmente i lingotti e documentare i risultati", ha dichiarato Ferber.
Queste dichiarazioni giungono in un momento di crescente scetticismo nei confronti delle istituzioni che un tempo sostenevano la fiducia della Germania nel dopoguerra. La recente decisione di eliminare un noto limite al debito pubblico ha dimostrato la volontà di riconsiderare la tradizionale ortodossia fiscale. La logica alla base dello stoccaggio dell'oro tedesco a New York, un tempo data per scontata, è ora sottoposta a un esame analogo. E ancor di più dopo aver appreso della volontà del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di oltrepassare i limiti dei suoi poteri e affermare il primato presidenziale sul sistema giudiziario.
Ad alimentare le speculazioni c'è Elon Musk, che ha messo in dubbio l'autenticità delle riserve auree dichiarate dagli Stati Uniti, chiedendo di recente un controllo formale delle riserve statunitensi.
Da parte sua, la banca centrale tedesca ha mantenuto una posizione calma, respingendo ogni accenno di rischio. "Con la Federal Reserve di New York abbiamo trovato un partner affidabile e degno di fiducia per lo stoccaggio delle nostre riserve auree", ha affermato il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, in una conferenza stampa lo scorso febbraio. Aggiungendo: "Non mi tiene sveglio la notte. Ho piena fiducia nei nostri colleghi della banca centrale statunitense".
Nel 2013, in mezzo alle proteste populiste e alla crescente instabilità dell'eurozona, la Bundesbank, "completamente fiduciosa", fece rientrare centinaia di tonnellate di oro precedentemente detenute a Parigi, una mossa vista all'epoca come una simbolica riaffermazione della sovranità. La banca sosteneva che, con la condivisione dell'euro tra Francia e Germania, le ragioni strategiche per detenere riserve a Parigi erano venute meno.
Oggi più della metà dell'oro tedesco è custodito in tutta sicurezza a Francoforte. Il 13% si trova a Londra. Ma è la quota di New York (il 37% del totale), un tempo monumento alla fiducia transatlantica, a suscitare maggiore preoccupazione.
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