Dal 2025, con l’introduzione del Codice Identificativo Nazionale (CIN), anche l’Italia si è allineata al modello europeo di tracciabilità delle strutture ricettive e delle locazioni brevi. L’obiettivo è chiaro: combattere l’abusivismo, garantire trasparenza e armonizzare un settore in continua espansione. Tuttavia, un punto della nuova disciplina — l’obbligo di esporre il CIN all’esterno degli edifici — ha innescato un acceso dibattito, sollevando questioni giuridiche, condominiali e di privacy.
Ne abbiamo parlato con Donatella Marino, fondatrice di Hospitality Law Lab, insieme al professor Vincenzo Franceschelli, alla professoressa Francesca Locatelli e alle avvocate Giada Beghini e Tamara Corazza, che da tempo analizzano le implicazioni legali delle nuove formule del Real Estate.
1. Partendo dalle basi: che cos’è il CIN e perché è stato introdotto?
Il Codice Identificativo Nazionale è un codice alfanumerico assegnato a ogni struttura ricettiva o immobile destinato, anche solo saltuariamente, a locazioni brevi o turistiche.
Introdotto dall’art. 13-ter del D.L. 145/2023, poi convertito nella L. 191/2023, mira a creare un sistema unico di identificazione a livello nazionale.
L’obiettivo è garantire maggiore trasparenza, contrastare gli affitti irregolari e consentire alle amministrazioni pubbliche di monitorare in modo uniforme il fenomeno dello Short Term Rental.
2. Quando è diventato operativo l’obbligo di esposizione e chi sono i soggetti coinvolti?
Dal 1° gennaio 2025, tutti i locatori che mettono a disposizione immobili per periodi inferiori ai 30 giorni o per finalità turistiche devono non solo richiedere il CIN, ma anche esporlo all’esterno dello stabile in cui si trova l’appartamento.
L’obbligo riguarda dunque anche chi loca anche solo una volta all’anno la propria abitazione con la durata (sotto il mese) o la finalità (turistica) di cui alla norma. Non solo chi opera con questo strumento in modo abituale o professionale. Ed è proprio questa genericità della platea dei destinatari a causare difficoltà concrete, soprattutto nei contesti condominiali.
3. Qual era l’intento originario del legislatore e perché la norma è oggi così discussa?
L’intento era del tutto legittimo: rendere più trasparente un mercato spesso nuovo e invasivo, tutelando i consumatori, la corretta concorrenza e la trasparenza fiscale.
Tuttavia, il modo in cui è stato formulato l’obbligo di esposizione ha suscitato perplessità. Nella prassi, sono state scelte prevalentemente due soluzioni: una targa su strada, come per gli alberghi, oppure una indicazione specifica sul citofono personale. Entrambe le soluzioni, però, non reggono sul piano giuridico.
L’idea di installare una targa visibile sulla facciata o sul cancello condominiale — come se si trattasse di un esercizio pubblico — non piace: rovina l’estetica dell’edificio, specie nei palazzi storici o di pregio, e deteriora anche il decoro urbano delle zone in cui le targhette esposte abbondano. Così, si è aperto un fronte di contrasti condominiali, impugnative e ricorsi.
Laddove invece si è scelto di indicare il CIN sul citofono, sono emersi rischi ancora più gravi legati a privacy e sicurezza personale.
4. Quali sono le principali criticità pratiche e interpretative?
La norma non precisa come il codice debba essere esposto.
Non è chiaro se la segnaletica debba essere visibile dalla pubblica via o se basti una collocazione in aree interne del condominio, accessibili solo alle autorità.
In mancanza di chiarimenti, diversi Comuni hanno iniziato ad applicare sanzioni laddove non trovavano il CIN esposto. D’altra parte, molti locatori hanno denunciato atti vandalici o comunque molestie, che vanno dal danneggiamento della targa a disturbi o minacce al citofono. Per non parlare dei divieti assembleari e relative impugnative.
Il risultato è un contesto incerto, dove una norma nata per semplificare rischia di generare un affollamento di liti giudiziarie.
5. Quali diritti costituzionali potrebbero essere compromessi da un’applicazione rigida della norma?
Un’esposizione visibile del CIN sulla pubblica via rischia di ledere diversi diritti costituzionalmente garantiti:
- la vita privata e l’inviolabilità del domicilio (artt. 14 e 15 Cost.);
- la libertà di iniziativa economica privata (art. 41);
- il diritto di proprietà (art. 42);
- e persino la sicurezza personale dei residenti.
Diversamente dalle strutture aperte al pubblico, la locazione resta un rapporto tra soggetti privati: rendere pubblicamente riconoscibile un appartamento destinato, anche saltuariamente, a uso turistico significa trasformare un’abitazione in una sorta di “vetrina”, con possibili conseguenze sulla riservatezza e sulla tranquillità di chi vi abita.
6.La ratio della norma è condivisibile. Ma come si concilia con le esigenze di privacy e decoro urbano?
Il rischio è che un principio condivisibile — la trasparenza — degeneri in un obbligo sproporzionato e poco utile.
L’affissione di targhette numeriche sulle facciate, se generalizzata, potrebbe persino compromettere il decoro urbano delle città italiane.
Oggi la Pubblica Amministrazione dispone già di tutti i dati necessari attraverso la Banca Dati delle Strutture Ricettive (BDSR), che consente controlli puntuali senza violare la sfera privata dei cittadini. Più che nuove targhe, servirebbe un uso intelligente delle banche dati e strumenti di verifica digitali.
7. Quali sono le “best practice” per restare conformi alla norma evitando abusi o sanzioni?
La soluzione più equilibrata è adottare una interpretazione costituzionalmente orientata, fondata sui principi di proporzionalità e ragionevolezza.
Il legislatore europeo stesso, con il Regolamento (UE) 2024/1028, promuove sistemi di tracciabilità basati su banche dati digitali e accessi riservati alle autorità, non sulla visibilità pubblica.
Nel frattempo, i locatori possono collocare il CIN in spazi condominiali interni, come bacheche o aree tecniche, purché accessibili ai controlli ma non ai passanti.
Un approccio che tutela sia la trasparenza sia la privacy, in attesa di eventuali chiarimenti ministeriali. Serve però il confronto e conforto con le Autorità pubbliche, per individuare una Best Practice condivisa.
8. Come potrebbe intervenire il Legislatore (Governo o Parlamento)?
Occorre una revisione equilibrata della norma.
La finalità di contrasto all’abusivismo deve essere perseguita con strumenti digitali, coordinati con la BDSR e interoperabili con le piattaforme europee.
L’obiettivo non è esporre i cittadini, ma rendere più efficiente il sistema di controllo.
L’auspicio è che, anche grazie al confronto con associazioni e ordini professionali, si possa giungere a un quadro chiaro e coerente, che trasformi il CIN in un vero strumento di governance, e non in un onere burocratico fonte di contenziosi.
L’obbligo di esposizione del CIN all’esterno degli stabili, pur animato da finalità condivisibili, ha mostrato limiti evidenti.
La trasparenza non deve mai tradursi in un’ingerenza nella vita privata dei cittadini.
Il futuro del settore passerà da soluzioni tecnologiche, digitali e proporzionate, capaci di garantire controllo pubblico e tutela dei diritti fondamentali.
Solo così il CIN potrà assolvere la funzione per cui è nato: un codice di supporto alla tracciabilità, non un marchio, talvolta negativo, da stigmatizzare.
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