Già da qualche tempo circolano anticipazioni sulla possibile nuova formula di opzione donna (si parla anche dell’introduzione della cosiddetta “ape donna”), ma la legge di Bilancio 2024 potrebbe contenere anche altre importanti novità che riguardano la pensione anticipata per le lavoratrici. A tal proposito, scopriamo cos’è e come funziona quota 84, l’ultima ipotesi al vaglio del governo Meloni.
Le novità dell’ultima ora su quota 84
Per correggere la situazione creatasi con la formula di opzione donna introdotta lo scorso anno, con requisiti più penalizzanti, il governo sta valutando di inserire nella prossima legge di Bilancio la quota 84. Si tratta di una pensione anticipata per chi raggiunge 64 anni di età e totalizza 20 anni di contributi.
Oltre ai due requisiti già citati, per accedere a quota 84 sarebbe necessario anche aver maturato un importo minimo di assegno previdenziale, che probabilmente dovrebbe essere 2,5 volte l’assegno sociale (poco più di 1000 euro).
La possibilità di ottenere la pensione anticipata tramite quota 84 sarebbe estesa anche alle lavoratrici con contribuzione prima del 1996, a patto che venga applicato il ricalcolo interamente contributivo della pensione (che comporta la rinuncia al sistema misto che prevede la valorizzazione con il sistema retributivo dei contributi versati fino al 31 dicembre 1995).
Sostanzialmente, quindi, si tratterebbe di pre pensionamento simile alla cosiddetta pensione anticipata contributiva, che prevede come requisiti 64 anni di età e 20 di contributi, escludendo gli accrediti figurativi, ma con un assegno maturato pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. In pratica, per le lavoratrici ci sarebbe uno sconto sull’assegno maturato.
Che fine fa opzione donna?
Resta ancora da chiarire se quota 84 sostituirebbe o affiancherebbe opzione donna. Attualmente, è previsto che possano accedervi le lavoratrici con 35 anni di contributi e 60 anni di età (entro il 31 dicembre 2022), con uno sconto di un anno per ogni figlio fino a un massimo di due e l’appartenenza a una delle seguenti tre categorie: caregiver, disabilità pari almeno al 75%, disoccupate o occupate in aziende con tavoli di crisi aperti.
Da tempo si parla di correggere questa formula, con i sindacati che chiedono che si ritorni all’impianto originario: 35 anni di contributi e 58 o 59 anni di età (rispettivamente per lavoratrici dipendenti e autonome).
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