Incontriamo l’architetto Francesca Frendo di buon mattino nella sua casa di Chiaia, uno dei quartieri più eleganti di Napoli che regala preziosi scorci marini tra palazzi importanti ed indizi di una movida raffinata che si è appena assopita. Il suo è un palazzo del ‘600. Uno dei due della zona. E qui vive ovunque anche la napoletanità intesa come contaminazione di arti, stili e culture: e questa è la cifra stilistica dell’architetto Frendo. Che ce ne parla in questa intervista.
Nella sua città ci sono tracce di una costante contaminazione artistica, culturale e storica: questo tratto ha un riflesso anche sul suo modo di proporre architettura?
Sicuramente il mio modo di fare architettura è contaminato dalla città che vivo e che cerco di trasmettere in ogni mio progetto. Napoli è per eccellenza la città della cultura in quanto è stata contaminata da tante esperienze internazionali. Abbiamo avuto momenti in cui Napoli era il fulcro dell'arte. Diciamo che in ogni ambito culturale questa città è stata protagonista. Anche in epoca più moderna abbiamo avuto un Andy Warhol a Napoli che ha sconvolto i canoni dell'arte. E posso dire che nel mio modo di fare architettura ho assimilato l'insieme di tutte queste contaminazioni.
Parliamo della sua casa: cosa ci racconta?
Questa casa mi ha sorriso da subito. Il palazzo è di impianto seicentesco ed io ho avuto la fortuna, nel ristrutturare la casa, di mettere a nudo alcune volte a padiglione che finiscono in maniera circolare: un po' come i trulli pugliesi. Ho messo a nudo l'anima di questa abitazione, considerando una ristrutturazione che fosse una stratificazione che permettesse di leggere il nuovo e l’antico. Ho usato tratti cromatici in modo da creare giochi di luce e prospettive diverse. E poi questa è una casa piena di arte. Io infatti sono anche un’appassionata di modernariato, quindi nel tempo ho raccolto tanti oggetti come gli stessi arredi di modernariato che vede alle mie spalle, una libreria di Rega, il tavolo, le sedie. Ma anche le opere di artisti emergenti che ho incontrato nel corso degli anni e che ho acquistato fidandomi del loro talento e confidando nel successo futuro. Insomma è una casa che racconta tanto sia del mio percorso sia professionale che del mio stile di vita.
Si parla di questa casa come di un manifesto della sua creatività. In quali particolari è possibile rintracciare la sua mano?
Sì, sicuramente il manifesto della mia creatività si legge tutto in questa casa. Ma questa abitazione è anche il manifesto della mia vita sociale, del mio modo di pormi tanto nella mia vita privata che nella professione.
Quando ci sono eventi, ricorrenze o qualsiasi cosa possa organizzare a casa mia, il fulcro dell'accoglienza è sempre in questi ambienti. Perché io amo accogliere, festeggiare e condividere la casa con le persone a me più care. Ci sono persone che chiudono i battenti della loro casa, invece io li apro volentieri agli amici, alle persone a cui voglio bene.
Lo stesso approccio ce l'ho con i clienti. Il mio modo di fare una casa comincia entrando nella loro psicologia per capire e carpire le esigenze. Insomma, per farmi interprete e conduttrice dei loro sogni.
Ci sarà però un angolino che considera tutto suo…
Certo. L'angolino tutto mio è nel salotto, dall'altra parte nei divani ad angolo, dove solitamente amo colloquiare con mio marito o con i miei figli, quando sono a Napoli (vivono fuori, ndr). Lo chiamo “l'angolo della mia prospettiva” della casa, perché da lì vedo tutta la sequenza degli ambienti di questa abitazione. E lì amo rilassarmi.
Nel suo mestiere, oggi più che mai, esiste una forte influenza dei trend. Come è possibile sfuggire?
Il trend, così come nella moda così anche nell'architettura, è un passaggio. Un momento, un raccogliere esigenze di quel periodo temporale.
Io cerco di fare sempre case che abbiano la loro identità indipendentemente dalle tendenze.
Certo, ci può essere una piccola chicca del trend del colore del momento, oppure un mobile di design che può essere divertente all’interno di un trend: però cerco sempre di creare una casa classica rivisitata in chiave moderna, che abbia la propria identità senza rifarsi alle mode del momento.
Hanno scritto che declina sapientemente design e funzionalità. Sciogliamo quest’altro dilemma: funzionalità ed estetica possono quindi andare a braccetto?
Posso dire che design e funzionalità non solo devono andare a braccetto ma che solitamente nella progettualità del taglio architettonico di un qualsiasi mio progetto penso sempre prima al design, all'interior, per poi rifarmi ad una buona funzionalità. Si rischia spesso, altrimenti, di fare un buon taglio architettonico senza studiare l'interior: e poi le due cose non collimano. La condicio sine qua non di una buona progettazione è aver studiato anche un buon interior.
Quale concept creativo rivelano le case più belle che ha creato? Ne ricorda una in particolare?
Ho avuto la fortuna di aver disegnato per molti anni, oltre alle case in città, anche case al mare, in Sardegna. In quest’ultimo caso ho messo a nudo la mia creatività nella sua essenza utilizzando gli elementi che la natura circostante offriva come pietre o rami e sono nate idee veramente divertenti. E lì, forse, ho dato il massimo della mia espressione creativa nella natura.
Tuttavia non saprei scegliere un progetto in particolare, perché per me ogni volta è come fare un figlio. In ognuno dei miei progetti lascio il mio segno e la mia identità: ma soprattutto l'identità di chi andrà a vivere la casa.
Per costruire il suo stile a quali fonti di ispirazione si rivolge?
Le fonti di ispirazione del mio stile sono di stampo internazionale. La fusione di tante contaminazioni che ha avuto Napoli nasce da una città che si è sempre confrontata con l'estero, con altri modi di vedere e con altre culture. E questo è un po' quello che mi piace fare: confrontarmi con altri stili e culture. Insomma, nel modo di fare la mia architettura non si legge la casa napoletana. Ma la casa contaminata da tanta internazionalità, che comunque si identifica con quella che è la città di Napoli.
Ho letto che in una intervista ha dichiarato che progettare all’indomani del Covid vuol dire immaginare scenari trasversali e d intercambiabili. Cosa vuol dire?
Il periodo del Covid ci ha insegnato tanto. Addirittura si pensava a case con il filtro, dove ci si potesse prima decontaminare. La verità però è che adesso le quadrature delle case si restringono sempre più e gli spazi diventano polifunzionali. Ovvero si tende ad avere l'intelligenza di usare soluzioni che possano declinare lo stesso ambiente in più funzioni. Questo è un po' il futuro: quello verso cui si stanno affacciando i grossi imprenditori immobiliari.
Torniamo in casa. Sono qui, tra queste mura seicentesche da mezz’ora e respiro la storia a pieni polmoni. A lei che effetto fa?
Ha ragione. Il peso della storia in questo palazzo dove ho la fortuna di vivere si legge ovunque. Un aspetto su tutti: il clima. In questo momento abbiamo una temperatura perfetta grazie alle mura di tufo che, in alcuni punti sono larghe un metro e sessanta. Questo vuol dire che vivo calda in inverno e fresca d'estate: ed è una rarità. Oramai nelle costruzioni in cemento armato -che per carità, hanno risolto tante problematiche, ma ne hanno anche create di diverse- ci si affaccia sempre più all’impiantistica con radianti a pavimento, mentre anticamente si aveva la fortuna di risolvere il problema così, in maniera naturale. Se ci fosse la possibilità di creare ancora costruzioni con questa tipologia di materiale forse si risolverebbero tanti problemi.
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