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Le conseguenze economiche per l'Italia della guerra in Ucraina
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Mentre si continua a discutere di nuove sanzioni contro la Russia, l’economia italiana deve fare i conti sia col caro energia, sia con l’impatto delle esportazioni e importazioni venute meno, e quindi con la riduzione dei flussi di merci e materie prime provenienti da o indirizzate verso i Paesi in conflitto. Sono molti i rappresentanti dei diversi settori economici ad aver lanciato l’allarme: tra gli ultimi in ordine d’arrivo vi sono anche i produttori di vini di fascia alta che temono il mancato acquisto da parte dei ristoratori russi e persino i produttori di calzature destinati a essere commercializzati nelle boutique di lusso.

Fermo restando la legittimità di ogni categoria di esprimere una preoccupazione per il proprio business, quanto nel concreto stanno pesando le mancate esportazioni verso la Russia e l’Ucraina? Molto meno di quanto si creda, come affermano dall’Area Studi di Mediobanca, composta da un team di analisti abituato ad esaminare i bilanci delle società. Discorso leggermente diverso per le importazioni, non solo quelle relative al grano e al gas, ma anche quelle che interessano il settore dell’acciaio.

La situazione precedente alla guerra

Secondo un’analisi di Mediobanca nel 2021 le esportazioni italiane verso la Russia pesavano l’1,5% del totale per un valore di 7,696 miliardi di euro, mentre le importazioni rappresentavano il 3% del totale con 13,984 miliardi: detto in altri termini, dalla Russia abbiamo acquistato durante lo scorso anno più merci, gas incluso, rispetto a quanto abbiamo venduto ai consumatori del Paese.

Abbiamo acquistato per 8,409 milioni di euro i prodotti delle miniere e delle cave (gas naturale, petrolio, minerali), per 3,175 milioni i prodotti della metallurgia, per 1,335 milioni coke e prodotti derivanti dalla raffinazione del carbone. Ma, se si escludono queste tre tipologie di mercati, il valore scende di gran lunga: abbiamo acquistato prodotti chimici per 324 milioni, prodotti dell’agricoltura, della pesca e della silvicoltura per 144 milioni, legno e prodotti lavorati per 126 milioni, prodotti alimentari per 112 milioni e carta per 109 milioni.

A nostra volta però abbiamo venduto alla Russia macchinari e apparecchiature per 2,147 milioni di euro, articoli di abbigliamento 863 milioni e prodotti chimici per 720 milioni. Nella classifica delle principali merci esportate verso la Russia i prodotti alimentari, una voce che comprende tutte le nostre eccellenze enogastronomiche, si trovano al quinto posto con 426 milioni.

Guerra e inflazione: perché tutto costerà di più

Secondo gli esperti di Mediobanca la situazione è difficile e il quadro per l’economia italiana non è incoraggiante. Ma l’aumento dei prezzi era già in corso per effetto della pandemia.

Area Studi Mediobanca: “Lo shock della guerra si inserisce in un contesto macroeconomico già poco roseo. La ripresa post pandemia era già debole sotto alcuni aspetti: il quadro era di una pressione al rialzo di tutta una serie di prezzi in particolare delle materie prime, a causa della mancanza di alcuni materiali e dei ritardi di consegna. A ottobre del 2020 erano già evidenti tutti i problemi derivanti dalle catene di approvvigionamento di molte materie prime e di merci già finite,in sintesi il conflitto ha amplificato problemi già evidenti. Oggi la guerra in corso va ad alimentare il clima di incertezza e quindi mina la fiducia nell’economia da parte dei consumatori e dei prezzi. In mancanza di certezze questi ultimi salgono”.

Quali sono stati gli effetti delle preoccupazioni relative al taglio delle forniture di gas sull’economia?

“Anche nel caso del gas i prezzi erano già sotto pressione prima dell’insorgere della guerra fino ad arrivare ad essere 12 volte più elevati rispetto al livello di inizio 2020. I costi energetici adesso pesano di più in particolare sulle imprese: in pratica se prima corrispondevano al 4% del totale dei costi sostenuti, adesso sono quasi raddoppiati. Le industrie “energivore” ne soffrono di più e tra queste vi sono le imprese siderurgiche, chimiche, meccaniche, i produttori di cemento, calcestruzzo, gomma plastica, carta e lavorazioni in legno. Ne consegue l’aumento del costo dei prodotti finiti realizzati da queste industrie. In più l’aumento del costo energia riduce il potere d’acquisto delle famiglie”.

Che cosa sta succedendo adesso nell’import/export verso la Russia e l’Ucraina?

“Se consideriamo il trend dell’esportazioni dall’Italia verso la Russia, possiamo notare che il calo è iniziato circa vent’anni fa arrivando a pesare oggi solo per l’1,5% del totale. L'UE ha progressivamente imposto sanzioni alla Russia a partire dal 2014, a seguito dell'annessione della Crimea fino ad arrivare alle attuali. Le imprese avevano già percepito il rischio relativo agli scambi con la Russia con il conseguente distacco da questo mercato negli ultimi anni. Differente è il discorso per ciò che concerne le importazioni che pesano il doppio rispetto all’esportazioni e sono pari al 3% del totale per quanto riguarda l’Italia. Nei confronti invece dell’Ucraina le esportazioni pesano per lo 0,4% del totale e le importazioni lo 0,7%. Si tratta di numeri contenuti ma che rivelano uno sbilanciamento tra import/export”.

Oltre al gas, di cui l’Italia finora ha importato il 38% del proprio fabbisogno dalla Russia, il nostro Paese importa sia dalla Russia sia dall’Ucraina prodotti metallurgici. Che cosa sta succedendo nel settore dell’acciaio?

“L’acciaieria Azovstal di Mariupol in Ucraina, uno dei più grandi impianti d'Europa, è stata bombardata il 19 marzo 2022. Lo stabilimento fa parte del Gruppo Metinvest BV (NL) che detiene asset metallurgici in Ucraina, Regno Unito, Bulgaria e Italia(Ferriera Valsider di Vallese di Oppeano (VR) e Metinvest Trametal di San Giorgio di Nogaro (UD)). Nel 2021 il Gruppo Metinvest ha prodotto 9,5 milioni di tonnellate di acciaio grezzo in Ucraina: 4,3 nell'impianto Azovstal di Mariupol, 4,3 nell'impianto Ilyich Steel sempre a Mariupol e 0,9 nell'impianto Dniprovskyi Coke vicino Kiev. Per le realtà produttive italiane la Ferriera Valsider e Metinvest Trametal l’impatto è stato rilevante. Da Mariupol e in particolare da Azovstal arrivava infatti la materia prima diretta ai laminatoi veneto e friulano”.

È corretto dire che dovendo stipulare nuovi contratti di fornitura potremmo essere costretti a pagare di più per sostituire questi fornitori?

“Con lo spostamento verso Paesi terzi per alcuni prodotti potrebbe esserci un aumento dei costi. L’incrocio tra domanda e offerta è quello che sui mercati determina il prezzo dei beni e dunque quando l’offerta diminuisce rispetto alla domanda il prezzo del bene richiesto aumenta. Pensiamo a quanto sta avvenendo con il grano. Se noi guardiamo al frumento la Russia e l’Ucraina insieme forniscono il 30% del grano a livello mondiale, in particolare il 20% e il 10%. L’Italia nello specifico importa il 60% del grano per il suo consumo interno, ma non è così tanto esposta verso questi due Paesi come si potrebbe pensare. Siamo ad esempio più dipendenti nei confronti di altri Paesi come l’Ungheria.Il rischio è che altri Paesi fornitori di materie prime possano decidere di applicare delle restrizioni alle proprie esportazioni per tutelare il proprio mercato interno e questa tendenza potrebbe colpire più tipologie di forniture. Russia e Ucraina sono leader nel settore della produzione di fertilizzanti ed eventuali restrizioni avranno un impatto anche sulla nostra agricoltura e quindi sui prodotti agroalimentari”.

Che cosa dobbiamo aspettarci quindi?

“Occorre capire come reagiranno gli altri Paesi che potrebbero fornire all’Italia e all’Europa le materie prime che potrebbero venire a mancare. È probabile che i prezzi si alzeranno perché la domanda verso quei beni sarà maggiore. Il nostro Paese sta già cercando altri fornitori e non solo per quanto riguarda il gas.  Sicuramente questa situazione spingerà tutti i Paesi della Ue a diversificare le fonti di approvvigionamento per evitare di dipendere troppo da un solo fornitore”.

Il divieto di esportare potrebbe causare serie difficoltà ad alcuni settori dell’economia?

“Il consumatore russo che acquista beni italiani ha un potere di spesa elevato e guarda a settori tra cui le eccellenze dell’enogastronomia e della moda made in Italy,ma se guardiamo ai due settori in questione non abbiamo molto di cui aver timore: si tratta di due settori economici che godono di un ottimo stato di salute. Il problema maggiore potrebbe invece provenire dalla mancanza del turismo russo, ma parliamo sempre di numeri piuttosto contenuti, infatti i turisti russi che vengono in Italia rappresentano una quota molto bassa della popolazione totale”.

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