
A gennaio del 2017 è stata approvata dalla Camera dei deputati la legge che disciplina l’home restaurant, ma pochi mesi dopo, nell’aprile dello stesso anno, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha bocciato il ddl che puntava a disciplinare proprio l’attività di home restaurant.
Il testo che era stato approvato alla Camera e che era formato da sette articoli definiva l’home restaurant come “l’attività finalizzata alla condivisione di eventi enogastronomici esercitata da persone fisiche all’interno delle unità immobiliari ad uso abitativo di residenza o domicilio, proprie o di un soggetto terzo, per il tramite di piattaforme digitali che mettono in contatto gli utenti, anche a titolo gratuito e dove i pasti sono preparati all'interno delle strutture medesime”.
Ma l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha dato parere contrario avvertendo che le norme inserite avrebbero posto serie limitazioni alla concorrenza e sarebbero state in contrasto con il diritto comunitario, oltre che limitative per la libertà di scelta degli utenti. Nel luglio del 2018 è stato presentato un nuovo progetto di legge ordinaria. Ma per capire in che modo è disciplinata oggi tale attività ci si può riferire alle note e alle risoluzioni dei Ministeri competenti e in particolare del Ministero dello Sviluppo Economico.
Rispondendo al Comune di Urbania, nella nota n. 17890, il Ministero dello Sviluppo Economico ha fornito alcuni chiarimenti. Come già precisato nel parere n. 50481 del 10 aprile 2015, “l’attività in discorso, anche se esercitata solo in alcuni giorni dedicati, e se i soggetti che usufruiscono delle prestazioni sono in numero limitato, quando è rivolta al pubblico indistinto, ad esempio mediante pubblicità su siti web, e quando non è del tutto occasionale, non può che essere classificata come un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti con il domicilio del cuoco, tali locali rappresentano comunque locali attrezzati aperti alla clientela. Infatti la fornitura di dette prestazioni comporta il pagamento di un corrispettivo e anche con tale modalità si tratta di un servizio organizzato e rivolto al pubblico”.
Nella risoluzione n. 493338 del 6 novembre 2017 il Ministero dello Sviluppo Economico ha poi precisato che l’attività in questione, rientrando in quelle di somministrazione di alimenti e bevande, può essere esercitata solo da chi possiede i requisiti di onorabilità e professionalità previsti dall’art. 71 del dlgs n. 59 del 26 marzo 2010; esige la presentazione di una Scia “qualora si svolga in zone non tutelate, o previa richiesta di un’autorizzazione, ove trattasi di attività svolta in zone tutelate”; sul tema della sorveglianza, richiamando la nota n. 557/PAS/U/015816 del 14 ottobre 2016 del Ministero dell’Interno sull’applicabilità del D.M n. 564 del 1992, ha riportato “che l’assoggettamento dell’attività in questione alla disciplina della somministrazione di alimenti e bevande comporta, in linea di principio, la soggezione ai controlli e agli eventuali poteri sanzionatori e interdittivi dell’Autorità di pubblica sicurezza comuni a tutti gli esercizi pubblici”.
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