
Quando si perde la pensione di reversibilità? È una domanda che spesso sorge fra i titolari di questa tipologia di trattamento pensionistico, in particolare i coniugi rimasti vedovi. Si tratta di un dubbio più che legittimo, poiché la pensione di reversibilità non solo può essere tolta, ma può anche subire delle riduzioni dell’importo erogato. In linea generale, per quanto riguarda il coniuge rimasto vedovo, la pensione di reversibilità viene revocata in presenza di nuove nozze. Per i figli, o altri parenti aventi diritto, il trattamento viene sospeso al compimento della maggiore età o, ancora, alla risoluzione di condizioni di inabilità.
Quando viene tolta la pensione di reversibilità
Così come accennato in apertura, la pensione di reversibilità non è immutabile nel tempo. A seconda dello stato e delle condizioni del soggetto che ne ha diritto, può subire in itinere due possibili variazioni:
- la revoca, con la sospensione del diritto al pagamento del trattamento pensionistico;
- la riduzione, con una decurtazione dell’importo inizialmente ottenuto per lo stesso trattamento pensionistico.

Per quanto riguarda il primo caso, ovvero quello del blocco al versamento mensile, sussistono diversi casi. Tuttavia, così come anche previsto dalle nuove regole INPS sulla pensione di reversibilità, è utile innanzitutto comprendere a chi spetti questo trattamento.
A chi spetta la pensione di reversibilità
Prima di comprendere quando la pensione di reversibilità possa essere tolta, è necessario ricordare quali siano i soggetti a cui spetta questa tipologia di trattamento. Al decesso del titolare del trattamento pensionistico primario, la pensione di reversibilità è garantita:
- al coniuge o al partner unito civilmente;
- al coniuge separato, se l’iscrizione all’ente pensionistico del partner è avvenuta prima del decesso o, ancora, se si è titolari di un assegno di mantenimento per la separazione con addebito;
- al coniuge divorziato, sempre che l’iscrizione all’ente del partner sia avvenuta prima del decesso e il soggetto sia titolare di assegno divorzile.
- ai figli minorenni;
- ai figli fino a 21 anni di età se studenti e ancora fiscalmente a carico dei genitori al momento del decesso del titolare;
- ai figli fino a 26 anni se iscritti a un corso universitario, se a carico dei genitori al momento del decesso del titolare;
- ai figli maggiorenni inabili;
- ai genitori inabili oppure di età superiore ai 65 anni;
- a fratelli e sorelle non coniugati inabili, se precedentemente a carico del pensionato.
A seguito di una sentenza della Corte di Cassazione, l’INPS ha stabilito - attraverso la circolare 64 del 7 maggio 2024 - che la pensione di reversibilità spetta anche ai nipoti maggiorenni inabili al lavoro, se precedentemente a carico del pensionato defunto.
Naturalmente, è lecito che sorga un dubbio quando si parla di pensione di reversibilità: a chi non spetta? Di norma, non possono richiederla tutti i parenti superstiti che non rientrano nelle categorie sopraelencate - ad esempio, zii e cugini - oppure a coloro che, pur avendo un legame stretto di parentela con il defunto, non presentano pregiudizi alla capacità di lavorare.
I casi che fanno perdere la pensione di reversibilità
Analizzati i soggetti che possono avvalersi della pensione di reversibilità, è possibile passare al vaglio i casi che ne determinano la revoca. In genere, il trattamento pensionistico ai superstiti viene rimosso:
- quando il coniuge superstite convola a nuove nozze;
- quanto il titolare del trattamento supera lo stato di inabilità che ne rendeva possibile l’erogazione;
- quando i figli a carico fino ai 21 anni terminano gli studi e iniziano un percorso lavorativo;
- quando i figli a carico compiono 26 anni o, ancora, terminano o interrompono gli studi;
- quando i genitori titolari ottengono un nuovo trattamento pensionistico;
- quando fratelli o sorelle non coniugati convolano a nozze.
È utile sapere che, in alcune situazioni, la pensione di reversibilità può essere ripristinata dopo un periodo di sospensione. Potrebbe essere il caso, ad esempio, dell’ex titolare che ricade in una condizione di inabilità.
Quando viene ridotta la pensione di reversibilità
Come noto, la pensione di reversibilità non sempre viene erogata al 100% dell’assegno garantito al precedente titolare. Ad esempio, il coniuge vedovo ha diritto solo al 60% se non vi sono figli minori o inabili, in caso contrario sono previste varie percentuali stabilite dall’INPS. Inoltre, la pensione di reversibilità può essere anche ridotta di importo nel tempo. In quali situazioni avviene la decurtazione?
In linea generale, la pensione di reversibilità viene ridotta:
- quando il titolare percepisce dei redditi propri diversi dal trattamento ai superstiti;
- quando i figli del titolare o gli inabili a carico raggiungono i limiti d’età o, ancora, superano le condizioni di stessa inabilità.

In particolare, di anno in anno l’INPS determina delle soglie di reddito che possono comportare il taglio della pensione di reversibilità, contestualmente alla rivalutazione delle stesse pensioni al costo della vita e all’inflazione. Per il 2024, ad esempio:
- fino a 23.345,79 euro annui: nessun taglio;
- da 23.345,80 a 31.127,72 annui: 25%;
- da 31.127,73 a 38.909,65 annui: 40%;
- oltre 38.909,66 euro: 50%.
È inoltre utile sapere che, stando alla sentenza 162 del 20 giugno 2022 della Corte Costituzionale, le decurtazioni applicate non possono superare il valore complessivo dei redditi aggiuntivi, in caso di cumulo della reversibilità e altri redditi del beneficiario.
Quali sono i limiti di reddito per la pensione di reversibilità?
Oltre alle soglie di decurtazione, esistono dei limiti di reddito per la pensione di reversibilità? In altre parole, si può vedere negato il diritto di ottenere una porzione della pensione del coniuge - o, ancora, del parente - defunto, in presenza di un reddito personale troppo elevato?
Di norma, non esistono limiti di reddito oltre ai quali non è possibile ricevere la pensione di reversibilità: si tratta infatti di un diritto che viene garantito. Quello che cambia, come già visto, è l’entità dell’assegno che verrà concesso dall’ente previdenziale. La decurtazione massima è del 50% per chi, come appunto già specificato, ha redditi personali annui superiori a 38.909 euro e non ha figli o persone affette da disabilità a carico.
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