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Gli uffici al tempo del covid: coniugare sicurezza e bellezza
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Il mondo non aveva mai visto il confinamento di tre miliardi di persone. Una situazione inedita che ha comportato una grande novità: la conferma che siamo immersi in una comunità di destino terrestre. I nostri confini molto labili sono caduti improvvisamente. Le conseguenze sono molteplici: la prima è che il superfluo e l’inutile vengono meno e possiamo concentrarci sull’essenziale. Così, il distanziamento imposto dal virus e l’adozione di tecnologie del lavoro a casa, provocano tante cose. Anche il cambiamento negli uffici si annuncia notevole.

L’architettura moderna è insostenibile?

È inutile nasconderlo, in realtà l’architettura moderna si è rivelata in gran parte insostenibile. Certo, quel movimento è stato importante per rinnovare codici estetici ormai vecchi, liberarci da molti orpelli, realizzare tanti edifici, rispondere alle esigenze della mobilità. Tuttavia lo stile internazionale che si è diffuso in tutto il globo ha prodotto anche tanti problemi. Siamo andati alla ricerca del più invece che del meglio. L’impatto di tutti questi metri cubi si è rivelato eccessivo con una serie di problemi che si sviluppano in tutto il nostro territorio. Anche i classici palazzi a uffici, tutti uguali come monoliti chiusi ermeticamente con il loro consumo esagerato e nessun rapporto con ciò che li circonda hanno fatto il loro tempo e, francamente, non sono più proponibili.

La concentrazione di grandi contenitori per migliaia d’impiegati si è rivelata sempre più sbagliata. In realtà l’uomo è sì un essere sociale, ma è fatto per piccoli gruppi, non per questi addensamenti esagerati. Quindi si prevedono edifici più piccoli e articolati nella città. Non cambierà però tutto, abbiamo sempre bisogno di lavorare insieme anche fisicamente, seppure in modo minore di prima.

Il rapporto con il mondo

La fonte del valore che attribuiamo a noi stessi è nelle nostre relazioni umane e nel rapporto con l’ambiente. Ne consegue che gli edifici dovranno rapportarsi con la natura in maniera differente. Basta finestre sigillate, basta impianti di condizionamento che escludono qualsiasi rapporto con l’esterno. La natura deve far parte del progetto. Si deve curare la luce naturale, la qualità dell’aria, la percezione delle stagioni e del trascorrere del tempo. Insomma basta con i cubicoli illuminati artificialmente. Inoltre, poiché molto lavoro sarà svolto in remoto da casa, si libereranno molti spazi che potranno essere riorganizzati in modo migliore. Saranno abbandonate quelle batterie di pollai che hanno caratterizzato gli ultimi anni. Lo spazio sarà più flessibile e adattabile alle esigenze diverse e in futuro, quando la pandemia sarà terminata, saranno incoraggiati i luoghi d’incontro e di scambio.

L’era dei dilettanti è finita

Lo vediamo tutti i giorni quando ascoltiamo gli scienziati, i medici, gli esperti. È giunto il tempo di riaffermare l’importanza della competenza. Basta con gli improvvisati, progettare uno spazio per il lavoro è un compito molto importante per il benessere degli addetti. Bisogna possedere molte doti di capacità di ascolto, di attenzione, di preparazione tecnica e umanistica. Bisogna prefigurare il futuro coordinando molti saperi e operando delle sintesi efficaci. Non basta scegliere un pavimento galleggiante, un controsoffitto e qualche parete mobile. Lo spazio del lavoro contemporaneo esige un grande sforzo per rinnovare con molta intelligenza. Questa crisi ci ha fatto capire che l’uomo è al centro dei luoghi di lavoro e gli spazi devono adattarsi.

Le due fasi

Si possono ipotizzare due fasi.

Il breve periodo nel quale ci si occuperà di garantire il distanziamento richiesto dalla presenza della pandemia. Si progetteranno barriere, pannelli, vetrate e altri dispositivi per questa funzione. Si cercherà di eliminare le maniglie e le bottoniere degli ascensori. Si limiteranno le capienze degli ambienti.

Il lungo periodo in cui riprogettare per lavorare meglio anche da remoto incrementando la qualità degli spazi, dell’aria, dell’acustica, dei luoghi di ritrovo e di riunione, degli accessi. Il lavoro del futuro potrà svolgersi in maniera differente, ad esempio inizialmente a casa per poi trasferirsi in ufficio per una riunione e in seguito in città in spazi di co-working. Insomma non si dovranno concepire progetti standardizzati che vanno bene per tutti e in ogni luogo ma studiare soluzioni sartoriali concepite per ogni singolo intervento e in ogni preciso luogo coniugando produttività, sicurezza e benessere delle persone.

In conclusione conviene far parlare il più grande visionario che in nostro paese abbia mai avuto: «Questa fabbrica si è elevata, nell’idea dell’architetto, in rispetto della bellezza dei luoghi e affinché la bellezza fosse di conforto nel lavoro di ogni giorno». Adriano Olivetti

Marco Ermentini è un architetto specializzato nel recupero e nel restauro. Fa parte dello studio Ermentini Architetti, un laboratorio dell’arte dell’abitare. Collabora con Renzo Piano per il rammendo delle periferie.

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