San Pietro in Vincoli ospita la prima scultura romana di Michelangelo, il Mosè che fa parte del complesso monumentale per la tomba di papa Giulio II. Si tratta di una delle basiliche più visitate della Capitale, merito non solo delle opere che la impreziosiscono ma anche della sua storia. idealista/news vi apre le sue porte con Ilaria Sgarbozza, storica dell’Arte della Soprintendenza Speciale di Roma.
Storia della fondazione
San Pietro in Vincoli è una delle basiliche più importanti di Roma. Si trova nel rione Monti, a due passi dal Colle Oppio e dal Colosseo e deve il suo nome alla sua stessa origine. La denominazione, infatti, richiama il motivo della sua fondazione (che risale al V secolo), ovvero l'arrivo a Roma delle catene del primo apostolo Pietro, provenienti dal carcere di Gerusalemme. Catene, infatti, in latino si dice “vincula”.
Ilaria Sgarbozza, storica dell’Arte della Soprintendenza Speciale di Roma, ci spiega come la storia stella della basilica inizi con un miracolo. “La fusione tra le catene di Pietro provenienti da Gerusalemme con quelle provenienti dal carcere romano, avvenuta al cospetto della Licinia Eudossia e della corte imperiale, convinse tutti che tale evento andasse celebrato con l'edificazione della basilica”.
Dalla genesi della sua fondazione, risale “il motivo per cui tutti i cicli pittorici, o la gran parte dei cicli pittorici di questa basilica, vertono sul racconto della vita di Pietro e in particolare su questo episodio delle catene”, sottolinea Ilaria Sgarbozza.
“Nel V secolo, la basilica viene fondata in un'area che ovviamente era già stata una parte della città imperiale, abbastanza vicina alla Domus Aurea di Nerone e – spiega la storica dell’arte – gli scavi che sono stati condotti negli anni 50 e 60 del Novecento per sostituire un vecchio pavimento, hanno riportato alla luce tutta un'area ipogea che poi progressivamente è stata recuperata”.
Gli sviluppi storici
Quella di San Pietro in Vincoli è anche una storia di evoluzione con il passare del tempo, come specifica Ilaria Sgarbozza: “Lo stato attuale della basilica è più di età moderna, perché soprattutto a partire dalla seconda metà del Quattrocento diventa una basilica di riferimento per la famiglia della Rovere, una famiglia che ha dato due papi; Sisto IV alla fine del Quattrocento e poi Giulio II all'inizio del Cinquecento”.
“Entrambi – sottolinea la storica dell’arte della Soprintendenza Speciale di Roma – prima di diventare Papi sono stati i cardinali titolari di della basilica di San Pietro in Vincoli e, in quanto tali, avevano in qualche modo un po’ il desiderio e un po’ anche l'obbligo di promuovere delle azioni di committenza, di mecenatismo e quindi cominciano a far confluire artisti vari: pittori, scultori, architetti”.
Data la fondazione così antica, nel Quattrocento la basilica versava in una condizione conservativa un po’ disastrata, quindi, grazie all'azione di questi cardinali che poi diventano papi, a San Pietro in Vincoli cominciano a lavorare artisti importanti. Tra questi c’è il portico esterno affidato a Baccio Puntelli, “un architetto toscano, molto attivo a Roma in quegli anni”.
Ma non è tutto, perché, come spiega Ilaria Sgarbozza “accanto alla Chiesa vera e propria viene fatto edificare un palazzo del cardinale titolare, quindi una piccola abitazione che il cardinale poteva frequentare quando si trovava in visita qui. E poi un convento un convento molto ampio, ancora esistente, che è attualmente occupato dalla facoltà di Ingegneria dell'Università la Sapienza.
Quindi la Chiesa, il palazzo del Cardinale e il convento compongono un vero e proprio complesso monumentale importante, che viene affidato ai Canonici Regolari Lateranensi, una comunità che segue la Regola di Sant'Agostino e che ha una importanza politica e religiosa molto significativa in quel periodo.
“Questi Canonici Regolari Lateranensi – spiega la storica dell’arte – detengono la Basilica ancora oggi. O meglio, la Basilica è dello Stato italiano come proprietà, però è affidata a questa comunità dei Canonici Lateranense Lateranensi”. La storia della quattrocentesca di San Pietro in Vincoli si può in qualche modo oggi recuperare attraverso alcuni ambienti e attraverso alcune opere.
“Il primo è l'ambiente dell’anti sagrestia e sagrestia vecchia (dove è stata registrata l’intervista, ndr), che è un ambiente che presenta ancora le tracce della storia quattrocentesca, come per esempio la Madonna con il bambino, di area Toscana ma che non ha un'attribuzione certa, probabilmente riconducibile a un artista vicino a Mino da Fiesole, uno scultore fiorentino toscano molto attivo a Roma alla fine del Quattrocento”.
Le tracce della storia quattrocentesca sfumano per far posto agli interventi di epoca cinquecentesca, che ha lasciato traccia soprattutto per quello che concerne la decorazione della parte absidale dedicata alla vicenda di Pietro. Perché ovviamente qui tutti i cicli o la gran parte dei cicli pittorici, in particolar modo della pittura murale, celebrano o raccontano le storie di Pietro.
La scultura di Michelangelo
“Il Cinquecento – spiega l’esperta – è un po’ il secolo d'oro della Roma dei Papi e lascia ovviamente la sua traccia maggiore, nella Basilica di San Pietro in Vincoli, con la tomba di Giulio II, che viene qui trasferita, o meglio eretta in una fase molto successiva alla sua progettazione. Michelangelo, infatti, non l'aveva progettata e non aveva neanche scolpito tante delle figure presenti nell’opera per questa chiesa”.
Non tutti sanno, infatti, che quest’opera era destinata alla basilica di San Pietro in Vaticano. “In un momento molto successivo alla committenza e dopo la morte di Giulio II, si capì che a San Pietro non poteva trovare spazio questo importante monumento, quindi si decise di trasferirlo qui proprio perché questa era un luogo che conservava la memoria del Papa Giulio II per le committenze, le azioni di mecenatismo già delineato”.
Come sottolinea la storica dell’Arte Ilaria Sgarbozza: “San Pietro in Vincoli, negli itinerari della città, è considerata una basilica importante, molto frequentata proprio perché ospita la tomba di Giulio II, il quale che è stato il primo committente di Michelangelo a Roma. La tomba di Giulio II era stata progettata da Michelangelo per la Basilica di San Pietro in Vaticano, poi, per vicende molto complesse, venne riprogettata e rivisitata varie volte fino a questa ultima destinazione”.
La figura principale di questo monumento è la figura del Mosè. Il monumento, però, è complesso perché, come spiega Ilaria Sgarbozza, “ha al suo centro la figura del Mosè e poi alcune altre sculture, alcune proprio di mano di Michelangelo, come la Rachele e la Lia, che sono le due figure femminili ai lati del Mosè. E poi ci sono le figure della parte alta del monumento, che sono ascrivibili a delle figure che lavorano nella bottega di Michelangelo. Fanno parte della scultura anche altre figure, come gli schiavi che sono in altri musei italiani e anche all'estero, eliminati dalla versione finale che possiamo ancora ammirare a San Pietro in Vincoli”.
Altre opere di rilievo
Il Settecento o il secolo successivo, il XVIII secolo, ha in qualche modo una memoria all'interno dell'edificio. La copertura, il dipinto che si trova sulla volta della navata centrale è di inizio 700. E poi c'è l'importante intervento di metà 800 che ha ridisegnato la navata e soprattutto la zona presbiterale della basilica, “che è stata completamente ridisegnata dall'architetto Vespignani – spiega la storica dell’arte – per farlo è stato realizzato un baldacchino, un ciborio, che ora diventa il punto di riferimento per chi entra all'interno della basilica”.
Inoltre, “è stata costruita una cripta, quindi diciamo un locale ipogeo sotto l'altare maggiore dove oggi sono conservate queste catene di Pietro di cui parlavamo prima, che in verità nel tempo nei secoli hanno avuto varie posizioni all'interno della basilica, sono state collocate prima in un'area poi in un'altra, ma con questo intervento di Vespignani trovano nella cripta comunque accessibile ai frequentatori della basilica una loro collocazione definitiva”.
San Pietro in Vincoli ospita anche un’importante opera della cultura tardo manierista, ma che già si avvia verso il naturalismo seicentesco, stiamo parlando del Compianto sul Cristo morto del Pomarancio, che si trova nella navata sinistra, poco distante dal monumento a Niccolò Cusano, in un altare che è anche ricco di marmi preziosi, come in realtà vari altri altari della basilica”.
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