Affreschi, case e iscrizioni copte emergono nella città scoperta nel cuore del deserto egiziano, nell'oasi di Kharga.
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La città scoperta nel deserto in Egitto vista da lontano
kairoinfo4u (Hanne Siegmeier) - CC BY-SA 2.0 - Wikimedia Commons

Tra le dune del deserto occidentale, dove il silenzio si impone come elemento sovrano e il vento conserva memorie antiche, l’archeologia ha restituito un racconto sepolto dal tempo e dalla sabbia. Nell’oasi di Kharga una missione archeologica egiziana ha infatti portato alla luce le tracce di un insediamento dimenticato. Si tratta di una città scoperta in Egitto capace di unire i segni del vivere quotidiano alla spiritualità delle prime comunità cristiane. Ecco tutti i suoi segreti.

Dove si trova la città copta scoperta in Egitto

La scena si apre nell’immensità del deserto occidentale egiziano, lontano dalle acque del Nilo e dai percorsi turistici più noti dell'Egitto. Qui, nell’ampio bacino dell’oasi di Kharga, sorge il sito di Ain al-Kharab, tradotto come “la sorgente delle rovine”. Ed è in questo punto remoto, sotto strati di sabbia e polvere, che gli archeologi del Supreme Council of Antiquities hanno riportato alla luce un insediamento dalle dimensioni sorprendenti. 

Perché il ritrovamento è avvenuto proprio in questa zona? L’oasi di Kharga non è mai stata un luogo marginale. Al contrario, era un nodo vitale nelle rotte carovaniere che attraversavano il deserto, un punto di incontro tra l’Egitto e i territori occidentali. Qui si scambiavano merci ma anche idee, lingue, religioni. La città scoperta riflette proprio questo carattere di passaggio anche dal punto di vita spirituale e religioso: un luogo in cui il paganesimo si è intrecciato con il cristianesimo e dove, nei secoli, l’arrivo dell’Islam ha aggiunto nuove tracce di identità.

Nonostante l’apparente isolamento, l’oasi è sempre stata un centro di interconnessione e ritrovare una città intera oggi in questo scenario significa recuperare una parte essenziale della storia egiziana fuori dal Nilo, un mosaico di culture che il deserto ha custodito gelosamente.

Distesa di deserto in cui è stata scoperta la città nell'oasi di Kharga
Roland Unger - CC BY-SA 3.0 / Wikimedia Commons

Cosa è stato ritrovato durante gli scavi archeologici?

Grazie al lavoro costante e paziente degli archeologi è stata riportata alla luce una intera realtà urbanistica composta da abitazioni in mattoni crudi, alcune con tracce di intonaco e di stanze adibite allo stoccaggio del grano. Oltre a questo, piccoli forni domestici affiorano come testimonianze della vita quotidiana, delle famiglie che cucinavano in un paesaggio difficile ma ricco di significati.

A testimonianza di questa quotidianità, accanto alle abitazioni sono emersi reperti in ceramica, vetro e pietra, oltre a ostraca, frammenti di vasellame che recano iscrizioni: nomi, conti, appunti di vita comune, minuscole voci di chi ha abitato questi luoghi. Le scoperte includono anche tombe e strutture funerarie, che indicano una frequentazione prolungata dall’epoca romana fino a quella islamica.

Particolarmente suggestivo però è un affresco raffigurante Gesù nell’atto di guarire un malato. Si tratta di un’immagine rara, potente, che trasmette la diffusione del messaggio cristiano ben oltre le rive del Nilo. Questo ritrovamento restituisce la dimensione spirituale di una comunità che si identificava nella nuova fede, pur vivendo in un contesto di grande trasformazione.

Le due chiese scoperte

Tra i ritrovamenti più significativi emergono due edifici religiosi

  • La prima è una chiesa basilicale ampia e imponente, con una navata centrale fiancheggiata da due laterali, sorrette da file di colonne quadrate. Intorno, ambienti di servizio suggeriscono un’organizzazione complessa, quasi un centro comunitario oltre che spirituale.
  • La seconda chiesa, più raccolta, è un edificio rettangolare caratterizzato da sette colonne esterne. Sulle sue pareti interne, iscrizioni in lingua copta ancora leggibili raccontano una comunità alfabetizzata e devota, capace di imprimere su pietra la propria fede e la propria memoria.

Le due architetture sacre, diverse per dimensioni e funzione, restituiscono l’immagine di una comunità stabile e articolata, capace di costruire spazi di culto distinti. 

  • L’una, monumentale e probabilmente pensata per raduni collettivi;
  • L’altra, intima, riservata forse a riti più contenuti. 

Insieme, raccontano la diffusione del cristianesimo in una terra lontana dal grande fiume, in una periferia che è stata trasformata in centro spirituale.

Un villaggio nei pressi dell'oasi di Kharga
Roland Unger - CC BY-SA 3.0 / Wikimedia Commons

L'importanza dell’oasi di Kharga

La scoperta della città copta non è però solo un ritrovamento materiale. Questa infatti è soprattutto la conferma del ruolo vitale dell’oasi di Kharga come crocevia culturale e religioso. Già in epoca faraonica le oasi erano luoghi di sopravvivenza e passaggio, ma sotto i Romani e nei secoli successivi sono diventati nodi di connessione, capaci di unire il Mediterraneo e l’Africa attraverso rotte carovaniere.

Kharga in particolare ha rappresentato una porta verso ovest, una stazione lungo le vie che conducevano a Tebessa e ad altri centri del Nordafrica. Questo spiega perché la città sia stata così stratificata: romana nelle origini edilizie, copta nella sua fase più vitale, islamica nelle trasformazioni finali.

Per la comunità scientifica Kharga non è soltanto un sito da studiare, ma un tassello essenziale per comprendere come la fede, la vita quotidiana e le rotte del deserto abbiano contribuito a modellare la storia egiziana.

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