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Nel 2025 l’immobile residenziale non è più solo un luogo da abitare, ma un servizio modulare e personalizzabile, capace di integrare funzioni abitative, lavorative e relazionali. È questa la visione che emerge dallo studio “L’abitare che cambia” condotto dall’Ufficio Studi Locare, società specializzata in gestione e innovazione immobiliare. Basata su un campione rappresentativo di 2.000 persone e arricchita dall’analisi incrociata dei dati Nomisma 2023, la ricerca fornisce uno spaccato dettagliato di un mercato in evoluzione strutturale, con ricadute significative sia per gli operatori del settore sia per le politiche abitative pubbliche.

La nuova domanda: più flessibilità, più servizi, meno immobilità

I dati parlano chiaro: il 73% degli italiani tra i 35 e i 44 anni si dichiara pronto a cambiare casa nei prossimi mesi. Un segnale che evidenzia una crescente dinamicità della domanda, trainata da una generazione che mette al centro la qualità dell’abitare, la flessibilità contrattuale e la disponibilità di servizi integrati. Anche la fascia 55–64 anni mostra una propensione significativa al cambiamento (48%), mentre tra gli over 65 il tasso si abbassa drasticamente al 15%, a conferma di una mobilità abitativa che decresce con l’età.

Questo cambio di paradigma si accompagna a una forte disaffezione verso l’affitto tradizionale. Gli utenti sono sempre meno interessati a contratti rigidi e poco adattabili, mentre cresce l’appeal delle soluzioni ibride: forme contrattuali temporanee ma regolamentate, abitazioni “servite”, modelli abitativi flessibili e condivisi, spesso progettati per rispondere a esigenze specifiche in termini di lavoro, socialità, assistenza o accessibilità.

Affitti brevi in discesa, boom dei contratti transitori e lunghi

Una delle evidenze più forti dello studio riguarda il calo degli affitti brevi, soprattutto nelle città turistiche o nei centri storici ad alta intensità ricettiva. Complice una crescente regolamentazione da parte delle amministrazioni locali e un’offerta spesso superiore alla domanda, gli affitti brevi perdono attrattività sia per gli inquilini sia per i proprietari.

All’opposto, aumentano i contratti transitori (fino a 18 mesi) e i tradizionali 4+4, soprattutto nelle città universitarie, nei poli innovativi e nei contesti urbani con presenza di professionisti e lavoratori in smart working. Ma non solo: la domanda si orienta sempre più su soluzioni abitative che includano servizi condivisi come lavanderie, aree comuni, coworking, concierge, wi-fi ultraveloce e spazi per la socializzazione controllata.

L’abitazione come “piattaforma di servizi”

Secondo Locare, nel 2025 la casa evolve verso il modello di piattaforma abitativa: un hub flessibile e personalizzabile, che accompagna le diverse fasi della vita dell’inquilino. In questa visione, l’immobile non è più solo un contenitore neutro, ma un sistema ibrido tra spazio, servizi e comunità, in grado di adattarsi ai bisogni del singolo o del nucleo familiare. Si tratta di un passaggio culturale prima che immobiliare, destinato a rivoluzionare l’offerta abitativa nei prossimi anni.

Smart living e coworking: la casa si fonde con il lavoro

Il confine tra casa e lavoro si fa sempre più labile. Tra i giovani adulti (18–34 anni), il coworking all’interno delle residenze non è solo una comodità, ma un’estensione della propria identità lavorativa e sociale. Lo spazio domestico si arricchisce di servizi come postazioni attrezzate, eventi di networking, community digitali, aree chill e perfino laboratori condivisi.

Le altre fasce d’età mostrano esigenze più funzionali, ma ugualmente interessate a soluzioni miste: per i 35–54enni, ad esempio, l’integrazione con il lavoro è apprezzata per ragioni di efficienza e tempo; per gli over 55, invece, la socialità controllata e la presenza di servizi di prossimità diventano cruciali, specie per chi vive solo.

Disposti a pagare di più per vivere meglio

L’indagine mostra una disponibilità crescente a investire nella qualità dell’abitare. I giovani under 35 si dichiarano più propensi a spendere in proporzione al proprio reddito pur di ottenere esperienze abitative di valore, mentre la fascia 35–54 anni è quella che, in termini assoluti, può sostenere i canoni più elevati. Più cauti, come prevedibile, gli over 65, meno interessati a soluzioni servite e con una maggiore tendenza alla conservazione dell’abitazione primaria.

Mobilità, nuclei familiari frammentati e invecchiamento

A trasformare il concetto di abitare sono quattro fattori principali:

  1. La crescente mobilità lavorativa e geografica;
  2. La frammentazione dei nuclei familiari tradizionali;
  3. L’invecchiamento della popolazione, che richiede soluzioni assistite e accessibili;
  4. L’aspettativa crescente di autonomia e socialità da parte di tutte le fasce d’età.

In questo contesto, le case che offrono valore aggiunto esperienziale e relazionale si distinguono per attrattività, mentre quelle che restano ancorate al vecchio modello “chiuso” risultano meno competitive.

Implicazioni per il settore immobiliare e le città

Il trend delineato dallo studio apre scenari importanti per l’intera filiera immobiliare. Investitori, gestori, sviluppatori e amministrazioni locali sono chiamati a ripensare l’offerta abitativa in chiave flessibile, integrata e orientata al servizio. Si fanno strada nuove tipologie come il coliving professionale, il senior living personalizzato, il renting evoluto con servizi accessori e le residenze miste temporanee-permanenti.

Anche le città dovranno ripensarsi: lo spazio urbano dovrà essere funzionale a nuovi stili di vita, a nuove forme di mobilità abitativa e a una maggiore interazione tra spazio pubblico e privato.

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