Nel caso in cui l’Inps accrediti per errore una somma più elevata del dovuto, non può pretendere il rimborso. A stabilirlo la sentenza n. 482/2017 della Cassazione. L’ente erogatore può rettificare in ogni momento le pensioni per via di errori di qualsiasi natura, ma non può recuperare le somme già corrisposte, a meno che l’indebita prestazione sia dipesa dal dolo dell’interessato.
Con tale sentenza, la Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Inps avverso la decisione d’Appello che aveva riconosciuto a un avvocato il diritto alla retribuzione e al trattamento di quiescenza corrisposti dall’istituto durante il rapporto di lavoro intercorso e l’attribuzione della pensione originariamente corrisposta dalla data delle dimissioni, “costituendo i medesimi diritti quesiti intoccabili per fatti successivi”.
L'Inps si era rivolta alla Cassazione lamentando che la Corte d’Appello non aveva tenuto conto dell’errore nel maggior trattamento retributivo provvisoriamente corrisposto all’ex dipendente pubblico e sostenendo di essere legittimata a recuperare l'importo indebitamente erogato. Ma per la Suprema Corte i motivi non sono fondati.
Contrariamente alla tesi sostenuta dall’istituto, gli Ermellini hanno fatto appello all’art. 52 della l. n. 88/1989, che esprime il principio generale di irripetibilità delle pensioni (cfr. Cass n. 328/2002), in base al quale “le pensioni possono essere in ogni momento rettificate dagli enti erogatori in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione o di erogazione della pensione, ma non si fa luogo al recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita prestazione sia dovuta a dolo dell'interessato”.
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