Si può aumentare l’affitto prima della scadenza del contratto? In un periodo storico caratterizzato dall’aumento del costo della vita, si tratta di un dubbio più che comprensibile per i tanti affittuari che temono di non essere più in grado di corrispondere il canone d’affitto. Ma quando può muoversi il proprietario dell’immobile, quando è possibile procedere a un rincaro della somma concordata?
In linea generale, il proprietario dell’immobile non può aumentare il canone di affitto fino alla naturale scadenza del contratto. Vi sono però alcune eccezioni, come in caso di rivalutazione ISTAT o di una rinegoziazione voluta da entrambe le parti. Di seguito, tutte le informazioni utili.
Aumento del canone d’affitto prima della scadenza: è possibile?
Come già anticipato, il timore che il canone d’affitto possa aumentare prima della naturale scadenza del contratto è sempre più diffuso, anche a causa di un costo della vita e di listini medi per gli affitti in rapida crescita. In realtà, la consolidata giurisprudenza su questa possibilità dipana ogni dubbio, anche in relazione alla disciplina sui contratti d’affitto a uso abitativo, regolata dalla Legge 431 del 1998.
Di norma, il canone d’affitto pattuito fra le parti non può essere modificato per tutta la durata naturale del contratto. Di conseguenza, il proprietario dell’immobile non potrà imporre unilateralmente un rincaro all’affittuario: il prezzo di locazione dovrà rimanere invariato per tutta la durata del rapporto. Vi sono però due eccezioni:
- l’adeguamento del canone all’inflazione secondo gli indici ISTAT;
- quando entrambe le parti sono di comune accordo. In questo caso, sarà necessario risolvere il contratto già posto in essere e stipularne uno nuovo.
L’adeguamento ISTAT prima del termine del contratto
Nonostante il proprietario dell’immobile non possa imporre un aumento unilaterale del canone d’affitto, può chiederne l’adeguamento all’inflazione secondo gli indici ISTAT correnti. Questa possibilità è ammessa perché non si tratta di un vero e proprio incremento della somma riportata nel contratto - sebbene comporti, di fatto, una locazione più elevata per l’inquilino - bensì un adattamento agli accresciuti costi di mercato.
Affinché l’adeguamento ISTAT sul canone di locazione possa essere ammesso, si rendono necessarie:
- la presenza di un’apposita clausola nel contratto di locazione che specifica questa possibilità, in modo che l’inquilino ne sia consapevole, data la firma del contratto stesso;
- una misura di aumento non superiore al 100% dell’indice ISTAT per i prezzi al consumo, nei contratti a canone libero;
- una misura di aumento non superiore al 75% dell’indice ISTAT, per i contratti a canone concordato.
Come facile intuire, in assenza dell’apposita clausola il proprietario non potrà procedere all’adeguamento ISTAT prima della scadenza del contratto, ma dovrà attendere il suo rinnovo. Ancora, non è possibile procedere per gli affitti con cedolare secca.
Per accertarsi che il contratto d’affitto contenga tutte le clausole previste per legge, e quindi poter accedere alla possibilità di adeguare la locazione alla variazione ISTAT, può essere utile confrontare i modelli di contratto di locazione precompilati.
Quando il locatore può aumentare il canone di locazione?
In linea generale, l’aumento del canone di affitto può avvenire solo dopo la naturale scadenza del contratto, anche in questo caso rispettando alcuni vincoli stabiliti dalla legge. Vi sono infatti, oltre a precise procedure da seguire, delle differenze a seconda della tipologia di accordo di locazione sottoscritto.
Come facile intuire, si devono innanzitutto distinguere due situazioni fra di loro assai differenti:
- la stipula di un nuovo contratto, del tutto autonomo dal precedente, dove le parti sigleranno un nuovo accordo secondo le reciproche necessità;
- la proroga, ovvero il rinnovo, del contratto già esistente, secondo i vincoli di legge.
Come funziona l’aumento dell’affitto: il canone libero e il canone concordato
Il primo è più comune caso riguarda l’aumento del prezzo dell’affitto nei contratti a canone libero, ovvero i classici “4+4”, oppure nei contratti a canone concordato senza cedolare secca, i cosiddetti “3+2”.
Per questa tipologia di accordi, la Legge 431 del 1998 specifica che l’aumento può avvenire alla scadenza del secondo rinnovo: ad esempio, per un contratto “4+4”, l’aumento potrà essere introdotto a partire dall’ottavo anno. Questo perché la formula scelta per questi contratti prevede un primo rinnovo automatico del contratto d’affitto.
Giunti alla seconda scadenza del contratto, ciascuna delle parti - quindi il locatore o il locatario - possono attivare autonomamente la procedura di rinnovo o, ancora, la rinuncia al contratto stesso. Per farlo, la procedura prevede:
- l’inoltro della comunicazione di intenzione di rinnovo, o di rinuncia, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno, almeno sei mesi prima della scadenza;
- la risposta, da parte della parte interpellata, entro sessanta giorni dalla ricevuta della raccomandata.
È utile ricordare che, in caso di mancata risposta, il contratto di locazione si considera cessato. Ancora, in assenza totale di comunicazioni dopo il secondo periodo di rinnovo, è possibile che il contratto venga rinnovato alle stesse condizioni.
Quando si aggiorna il canone di locazione: la cedolare secca
Nei contratti di locazione a cedolare secca, di recente modificati per effetto della Manovra 2024, le parti godono di un regime facoltativo agevolato, con un’imposta sostitutiva all’IRPEF e alle relative addizionali. I contratti di questo tipo hanno solitamente una configurazione “3+2”: questo significa che, similmente al canone libero e al concordato, l’aggiornamento dei prezzi di locazione può avvenire solo dopo il secondo rinnovo.
In altre parole, dopo i primi tre anni il contratto a cedolare secca viene automaticamente rinnovato. Trascorsi gli ulteriori due anni, le parti si possono autonomamente concordare per:
- rinnovare il contratto alle medesime condizioni;
- aggiornare gli importi, se vi è accordo sia fra proprietario che affittuario;
- procedere alla chiusura del contratto.
Anche in questo caso, le comunicazioni dovranno avvenire tramite raccomandata con ricevuta di ritorno. E, come facile intuire, sarà necessario poi darne comunicazione al Fisco, secondo le modalità previste dall’Agenzia delle Entrate.
In questo frangente, è sicuramente utile ricordare che i contratti di locazione con cedolare secca non godono - a differenza del canone libero o del canone concordato - della possibilità di adeguamento ISTAT quando l’accordo è ancora posto in essere. Si tratta di una specifica rinuncia a cui il proprietario dell’immobile deve aderire, per effetto delle agevolazioni fiscali che ottiene scegliendo questa forma di accordo.
Un nuovo contratto d’affitto al posto del rinnovo?
Come si è visto nei precedenti paragrafi, l’aumento del canone d’affitto non è possibile prima della scadenza naturale del contratto. E, in caso di proroga, gli accordi a canone libero, concordato oppure a cedolare secca prevedono un primo rinnovo alle medesime condizioni contrattuali. Ma è possibile chiudere un contratto d’affitto alla sua scadenza, rinunciando al rinnovo, procedendo poi alla sottoscrizione di un nuovo contratto?
Per quanto si tratti di una modalità non particolarmente diffusa, rimane possibile purché vi sia un pieno accordo fra le parti. Il locatore e il locatario possono procedere alla risoluzione consensuale del contratto di locazione, provvedendo ai relativi adempimenti fiscali. Una volta chiuso il contratto, nulla vieta alle parti di sottoscriverne uno nuovo: a questo scopo, può essere utile avvalersi degli strumenti per la generazione guidata dei contratti d’affitto.
Il titolare può registrare presso l’Agenzia delle Entrate un contratto che sia già stato firmato in maniera digitale. Idealista offre ai proprietari e agli agenti immobiliari un servizio gratuito per la creazione di contratti di affitto con firma online.
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