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Daniel Libeskind e una delle sue opere
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“Le città innovative sono quelle che fanno dialogare il passato con il presente, che non hanno paura di correre rischi e scelgono di proiettare la loro immagine nel futuro” Così è Milano, secondo l’archistar Daniel Libeskind, che nell’aula magna dell’Università SDA Bocconi ha incontrato studenti e appassionati per un incontro sul tema “Milano: The Place to Be. Il cambiamento architettonico come chiave per il rinascimento culturale”.

Nato a Lód’z, in Polonia, nel 1946, Libeskind emigrò negli Stati Uniti da ragazzo e già con i suoi primi lavori, negli anni ’80, si distinse per la sua capacità di evocare la memoria culturale attraverso edifici iconici che sfidano il concetto di contemporaneità.

È il creatore di celebri edifici come il museo militare di Dresda o il museo ebraico di Berlino, oltre a decine tra musei, sale da concerto, centri conferenze, complessi universitari, hotel e torri residenziali.

È anche uno dei personaggi simbolo della Milano del futuro, per aver progettato alcune residenze e una delle Tre Torri del progetto Citylife, che porta il suo nome, sito nell’area della vecchia Fiera campionaria. Segnato da un grande interesse per la musica, la filosofia e la letteratura, Daniel Libeskind ha come obiettivo quello di creare un’architettura distintiva, originale e sostenibile.

La città del futuro

Introdotto dai saluti del Direttore della SDA Bocconi Bruno Busacca, Libeskind ha illustrato la sua visione di città del futuro, che a suo parere dovrà avere una forte attenzione alla sostenibilità, con edifici “intelligenti” ad alta autonomia energetica, più trasporti pubblici e infrastrutture; una città che deve mettere al centro le comunità, ponendo maggiore attenzione agli spazi verdi, al rispetto per l’ambiente e a soluzioni innovative per proteggerlo.

«La mia idea di crescita della città è verticale, ma non è quello il tema che ha condizionato le mia scelte nel progetto della torre Libeskind - ha spiegato l’architetto - credo soprattutto che una città che voglia essere moderna debba essere un luogo dove le persone possano avvicinarsi senza guidare nel traffico per chilometri e chilometri. Si va a vivere in città perché si incontrano persone, si imparano nuove cose, e le relazioni umane vanno favorite, non ostacolate. È anche questo ciò che rende la vita sostenibile. Occorre creare connettività attraverso la densità».

E senza rinunciare alla bellezza: «quando ho pensato a Citylife non c’era nulla di astratto - ha sottolineato Libeskind - pensavo alla possibilità di camminare tra gli alberi, sdraiarsi a terra e guardare il cielo, o a piazze pubbliche con piante e spazi aperti. Ho pensato a creare non semplici edifici ma un paesaggio, che fosse bello per gli abitanti e anche per i visitatori».

Milano, "the place to be"

L’architetto statunitense ha poi parlato del suo legame con la città di Milano che lo ha accolto per la prima volta negli anni Settanta, e dove si è trasferito poi con la sua famiglia nel 1986, evidenziando il ruolo di leadership sempre più forte che Milano sta assumendo in Europa, come città internazionale e multiculturale, in pieno sviluppo architettonico.

«Durante Expo si diceva che Milano è “the place to be”, il posto in cui bisogna essere, e il successo della manifestazione è la testimonianza di ciò che Milano è e di quale può essere il suo futuro: c’è un’energia palpabile, visibile dagli edifici nei quali c’è equilibrio tra efficienza e design, o dall’innovazione coraggiosa, nella quale tradizione e futuro sono perfettamente integrati, e sono anzi necessari l’uno all’altra per dare continuità allo spirito della città.

Venezia ad esempio è stupenda ma è difficile viverci, incontrare un veneziano o trovare lavoro. Le città coraggiose sono quelle che prendono decisioni difficili, e Milano è così. Ha ambizione. Ha fiducia in se stessa e questa fiducia rende la città amata in tutto il mondo».

Un'architettura "coraggiosa"

In architettura occorre avere coraggio, ha precisato Libeskind, perché è una professione dinamica e nella quale le conoscenze cambiano in fretta, per questo il progetto della Torre Libeskind è stato modificato strada facendo».

Una torre curva, per la quale l’architetto ha tratto ispirazione scoprendo un progetto mai realizzato di Leonardo Da Vinci: «il grande fiorentino aveva progettato una cupola, aveva fatto dei disegni fantastici su come creare la curvatura perfetta, e allora ho pensato a una torre curva: mi piaceva perché dava l’idea di dialogare in intimità con le altre due, e anche perché serve a spiegare che non è individuale ma collettiva. All’interno infatti avranno posto diverse attività e società».

Infine Libeskind ha augurato a Milano e alle nuove generazioni un futuro in cui design, innovazione e sostenibilità possano convivere per una migliore qualità della vita, ma soprattutto ha auspicato che le città siano sempre più ala portata di tutti: «c’è ancora molto da fare, e c’è bisogno di alloggi a prezzi abbordabili: bisogna dare una casa a tutti, non solo nelle periferie ma anche in centro, perché le persone devono vivere insieme e vicino al cuore delle città. Ed è possibile farlo, con una politica e un’economia più equilibrate».

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fabiole
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