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In quali casi sono previsti gli arretrati per l'aumento della pensione di invalidità
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Una sentenza della Corte costituzionale, la scorsa estate, aveva stabilito l’aumento per le pensioni di invalidità a partire dai 18 anni (senza dover aspettare il compimento dei 60). Vediamo a chi spettano i 5 anni di arretrati previsti dalla norma.

Nello specifico, l’aumento spetta a tutti i titolari di pensione di invalidità (invalidi civili al 100%), in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge, che abbiano compiuto 18 anni. La sentenza della Corte di Cassazione, infatti, aveva definito inadeguata la somma stabilita per l’importo mensile delle pensioni di invalidità, indicando congiuntamente che venisse riconosciuto un aumento dell’attuale somma di 285,66 euro, raddoppiandola fino a raggiungere quota 516, 51 euro.

La sentenza, però, non ha effetti retroattivi e quindi anche i nuovi beneficiari non possono ottenere gli arretrati della pensione di invalidità con maggiorazione per i periodi precedenti al 20 luglio 2020 (data di entrata in vigore della sentenza). Tuttavia, c’è una categoria che può richiedere gli arretrati della pensione di invalidità maggiorata per un periodo massimo di 5 anni.

I cittadini invalidi totali, ciechi civili assoluti, sordomuti titolari di pensione o titolari di pensione di inabilità al lavoro che al 20 luglio 2020 avevano già superato l’età di 60 anni e che, pertanto, non sono stati riguardati dalla sentenza n. 152/2020 erano comunque stati esclusi dall’aumento della pensione.

Tali soggetti, quindi, se rientrino nei requisiti di reddito previsti, avevano già acquisito il diritto all’aumento della pensione di invalidità a partire dal compimento dei 60 anni e, nel caso non sia stata corrisposta la maggiorazione d’ufficio dall’Inps, tali soggetti possono presentare domanda per il e/o per l’erogazione degli arretrati della pensione di invalidità maturati dal raggiungimento dei 60 anni d’età nei limiti della prescrizione di 5 anni.

Per avere diritto all’aumento della pensione di invalidità, l’Inps ha specificato che sono necessari i seguenti requisiti reddituali (importi 2020):

a) il beneficiario non coniugato deve possedere redditi propri non superiori a 8.469,63euro (pari all’importo massimo moltiplicato per tredici mensilità);

b) il beneficiario coniugato (non effettivamente e legalmente separato) deve possedere:

  • redditi propri di importo non superiore a 8.469,63 euro;
  • redditi cumulati con quello del coniuge di importo annuo non superiore a 14.447,42 euro.

Se entrambi i coniugi hanno diritto all’incremento, questo concorre al calcolo reddituale. Pertanto, nel caso in cui l’attribuzione del beneficio a uno dei due comporti il raggiungimento del limite di reddito cumulato, nulla è dovuto all’altro coniuge. Se invece il limite non viene raggiunto, l’importo dell’aumento da corrispondere a un coniuge deve tener conto del reddito cumulato comprensivo dell’aumento già riconosciuto all’altro.

Ai fini della valutazione del requisito reddituale concorrono i redditi di qualsiasi natura, ossia i redditi assoggettabili ad IRPEF, sia a tassazione corrente che a tassazione separata, i redditi tassati alla fonte, i redditi esenti da IRPEF, sia del titolare che del coniuge.

Al contrario non concorrono al calcolo reddituale i seguenti redditi: il reddito della casa di abitazione, le pensioni di guerra, l’indennità di accompagnamento, l’importo aggiuntivo di 154,94 euro previsto dal comma 7 dell’articolo 70 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, i trattamenti di famiglia, l’indennizzo previsto dalla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati.

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