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intelligenza artificiale
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Se scoppia la bolla dell’Ai non si salva nessuno”. Sono bastate queste parole del Ceo di Alphabet (Google), Sundar Pichai, a far serpeggiare nel mondo della finanza la concreta paura che quella dell’intelligenza artificiale potrebbe essere una bolla troppo gonfiata, che potrebbe esplodere da un momento all’altro, proprio come quella delle dot.com a fine secolo o come quella dei mutui subprime, lasciando una scia di distruzione che non risparmierà nessuna azienda. Ma è proprio così?

Chi scommette e chi no sulle azioni AI

E’ curioso che proprio pochi giorni fa Warren Buffett - non uno qualunque quindi ma un personaggio noto per non sbagliarne una, al punto da essere soprannominato l’Oracolo di Omaha – abbia deciso di coronare la propria carriera in procinto di concludersi (alla veneranda età di 95 anni) riducendo le proprie quote in Apple del 15% e investendo massicciamente proprio in Alphabet (tra le cui attività c’è proprio l’AI), con 17,85 milioni di titoli del valore di circa 5 miliardi di dollari.

Una mossa che aveva galvanizzato le Borse, che in ogni caso da vari giorni collezionavano un record dopo l’altro, salvo registrare una importante correzione, anche dopo la decisione di Michael Burry (lo stesso investitore che fiutò da lontano l’arrivo della bolla dei mutui subprime nel 2008) di scommettere al ribasso su Nvidia e Palantir, imitato da Peter Thiel (peraltro presidente di Palantir stessa). Segnali che, insieme alle parole del Ceo della società di Google, e nell’attesa per la presentazione dei conti del colosso Nvidia, che fa da barometro per l’andamento dell’intero settore, hanno alimentato il sospetto che ci sia una forte sopravvalutazione del comparto, e che questo finirà per scoppiare in faccia agli investitori, trascinando con sé tutte le aziende correlate…e non solo. I conti di Nvidia si sono poi rivelati sopra le attese, con utili trimestrali saliti a 32 miliardi, ma ciò non è bastato per fugare del tutto i timori degli investitori. 

Una bolla non è tale finché non scoppia

L'attenzione degli investitori infatti resta vigile. “Ieri è stata una giornata da ricordare, - commenta fosca Ipek Ozkardeskaya, senior analyst di Swissquote. - Eravamo seduti a guardare Nvidia salvare il mercato dopo aver annunciato un'altra serie di risultati impressionanti la sera prima. E all'improvviso, poco dopo l'apertura degli Stati Uniti, l'umore ha iniziato a peggiorare, e da lì le cose sono andate a rotoli. Il Nasdaq, che aveva aperto con un balzo del 2%, ha chiuso la giornata in ribasso di quasi il 2,5%”. 

Il motivo di tale cambio di mood è che i commenti e le analisi sui bilanci di Nvidia seguiti alla presentazione dei conti hanno puntato l’attenzione anche su altri fattori, oltre agli utili:  l'aumento delle scorte e l'andamento insolito dei ricavi differiti. La spiegazione dell’aumento dei chip in stock è dovuta in parte allo spostamento della domanda verso la piattaforma Blackwell, sempre di Nvidia, in parte ai controlli sulle esportazioni Usa. La seconda pratica, quella dei ricavi differiti, è un artificio contabile che permette di segnare tra i ricavi già sicuri quelli legati a merce consegnata ma effettivamente non ancora pagata. Segnali che per lo meno lasciano qualche dubbio sulla reale crescita dell’azienda.

“La maggior parte delle notizie dirà che la spesa per l'intelligenza artificiale e le preoccupazioni sul credito sono riemerse, il che è vero, - continua Ozkardeskaya . -Oracle, l'ultimo membro VIP del circolo dei mega-accordi di OpenAI, è ora diventata l'indicatore del rischio di credito dell'intelligenza artificiale, in parte perché sta spendendo miliardi finanziati dal debito, e in parte perché ha un merito creditizio più debole rispetto a Microsoft o Google. E Oracle ha visto il suo CDS a 5 anni superare i 110 punti base, il livello più alto degli ultimi tre anni. CDS sta per credit default swap, uno strumento che gli investitori acquistano per proteggersi dal rischio di insolvenza di una società o del governo. Maggiore è il rischio percepito di insolvenza, maggiore è la domanda da parte degli investitori e più alto è il prezzo. Non voglio tornare su questo argomento, ma il crollo di Credit Suisse è iniziato nel mercato dei CDS. Ricordate: una bolla finanziaria non è una bolla finché non scoppia”, è l’ammonimento.

Cosa succede all’economia se scoppia la bolla AI?

Ma cosa potrebbe succedere nel concreto? Secondo un’analisi di Stefano da Empoli, presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com), che cita dati Economist, un indicatore della gravità di una possibile deflagrazione della bolla AI può essere il fatto che l’esposizione delle famiglie Usa in Borsa, rispetto alla fine del secolo, quando si verificò lo scoppio della bolla dot.com, è passata dal 17% al 21% in media, che sale al 35% per gli over 70. 

In altre parole, la quota di capitale che le famiglie hanno investito in Borsa è salita in questi anni del 4% (e del 18% per i più anziani e danarosi). Un eventuale crollo andrebbe quindi a fare più danno oggi rispetto a venticinque anni fa; si parla infatti di una cifra di 42 trilioni di dollari, che genererebbe una contrazione dei consumi di 500 miliardi di dollari, pari all’1,6 per cento del Pil degli Usa. E parliamo quindi solo degli Stati Uniti.

Perché l’intelligenza artificiale potrebbe essere una bolla che scoppia…

Figurarsi quindi la reazione degli investitori di tutto il mondo, che perciò, Buffett a parte, ultimamente si sono ritirati alla chetichella dal settore, pur senza ovviamente uscirne in modo plateale. A preoccupare, più che il “fair value” delle azioni legate all’AI, ovvero l’effettiva corrispondenza tra il prezzo e il valore delle società quotate, troppo elevato in caso di possibile bolla, è il fatto che gli investitori stiano dirottando eccessivi capitali su queste aziende, senza che tale pioggia di capitale sia giustificata da una crescita proporzionata. 

Da Empoli cita un rapporto di Morgan Stanley secondo cui le grandi aziende tech potrebbero spendere fino a circa 3 trilioni di dollari entro il 2028 senza avere nemmeno metà della liquidità per finanziare tale investimento. Il che significa che per coprire il resto dovranno ricorrere a prestiti; e quindi si spiega come mai di recente sia così esploso il mercato delle obbligazioni corporate legate alle società tecnologiche, con oltre 100 miliardi di dollari emessi registrati a novembre, mentre gli anni scorsi non si arrivava nemmeno a metà di tale somma. Uno schema che replica pericolosamente quello dei mutui subprime; se tali prestiti non saranno onorati, ovvero se non ci sarà una crescita effettiva che permetta di rientrare di tali prestiti (cosa che non è affatto scontata data la concorrenza presente nel settore, dalla Cina in primis) l’esplosione sarà inevitabile. Senza contare che le obbligazioni corporate non sono il solo mezzo di finanziamento utilizzato dalle imprese: tra le fonti finanziarie ci possono essere anche strumenti molto più rischiosi.

…e perché no

C’è da dire che non tutti gli investitori sono preoccupati del possibile scoppio della bolla dell’Intelligenza Artificiale. A rassicurare infatti, a differenza di quanto accadde per la bolla delle dot.com, è il fatto che la domanda di intelligenza artificiale è effettivamente in aumento siderale, alimentata anche dalle app gratuite, tanto che l’offerta fa fatica a starle dietro. Cosa che con le dot.com non era avvenuta, dato che all’epoca la domanda reale di tecnologia era stata solo ipotizzata da aziende che si erano assunte il rischio di anticiparla per poter essere le prime sul mercato; qualcuna ce la fece, altre crollarono miseramente. Inoltre, sostiene sempre Da Empoli, il modello economico su cui si regge il business delle Ai è circolare, e consente possibili revisioni qualora le previsioni non debbano essere soddisfatte. 

Inoltre, tranquillizzano i numeri delle aziende. Dall’ultima della serie, Nvidia, che ha presentato ricavi sopra le attese con la sua quota di chip specializzati che copre praticamente tutto il mercato AI, ad altre società, come Palantir, che a loro volta presentano ottimi margini e liquidità sufficiente, anche se l’occhio degli investitori corre inevitabilmente al citato fair value e a multipli di mercato che potrebbero essere troppo ottimistici. I programmi di sviluppo di tali aziende sono comunque tali da far pensare a prospettive di crescita positive, se pensiamo che l’AI può essere applicata ad uno spettro praticamente infinito di attività umane, dalle attività militari (purtroppo sotto i riflettori oggi) a quelle aziendali a quelle domestiche, e che i business model di queste imprese possono contare su innumerevoli idee. Probabilmente quindi, se la bolla AI scoppierà, non sarà nell'immediato futuro.

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