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Confermando le stime, l’Istat ha fatto sapere che si allunga l’aspettativa di vita a 65 anni, cinque mesi in più rispetto al 2013: in Italia adesso la media è di 82,8 anni (85 anni per le donne e 80,6 anni per gli uomini). Fatto che si riflette sull’età in cui si può lasciare il lavoro. Nonostante le richieste di fermare l’adeguamento automatico, il governo ha infatti deciso che non ci sarà alcuno sconto. Dal 2019 la pensione di vecchiaia scatterà a 67 anni.

L’adeguamento, previsto dalla legge Tremonti-Sacconi del 2010, è stato reso automatico dalla riforma Fornero. In molti, però, speravano in una soluzione differente.

Il presidente della commissione Lavoro di Camera e Senato, Cesare Damiano, aveva detto: “Il calcolo dell’Istat dovrà prendere a riferimento il triennio 2014-2016, periodo nel quale, nel 2015, è avvenuto un calo dell’aspettativa di vita. Noi ci aspettiamo un calcolo che tenga conto di questo calo e non solo degli aumenti”. Auspicando che “la decisione sull’aumento dell’età pensionabile sia rinviata a giugno del 2018”.

Il segretario dalla Cgil, Susanna Camusso, ha affermato: “E’ indispensabile fermare la follia di un automatismo perverso che porta a peggiorare periodicamente l’età pensionabile dei lavoratori. I dati diffusi dall’Istat che attesterebbero, dopo un periodo di calo dell’aspettativa di vita, un aumento di cinque mesi confermano l’urgenza di fermarsi e riconsiderare un meccanismo scorretto e penalizzante. Il governo aveva assunto l’impegno a discuterne”.

Un ripensamento da parte del governo però sembra alquanto improbabile. Così dal 2019 per andare in pensione in anticipo rispetto all’età di vecchiaia saranno necessari 43 anni e 3 mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne.  

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