Sono sempre più le famiglie che decidono di avvalersi di professionisti per le faccende domestiche o, ancora, per gestire persone malate non autosufficienti. Un investimento di certo importante, in un contesto economico e sociale così complesso come quello attuale, che porta molti a valutare figure senza contratto.
Ma quali sono i rischi dell’assumere una collaboratrice domestica non in regola? Vi possono essere conseguenze legali per il datore di lavoro, come sanzioni amministrative e penali, a cui si aggiunge il pagamento degli arretrati per compensi e contributi, con i relativi interessi. Inoltre, se il lavoratore è extracomunitario e privo di regolare permesso di soggiorno, le pene per il datore aumentano, fino alla reclusione.
Quando la collaboratrice domestica non è in regola
Di norma, si considera una collaboratrice domestica o un collaboratore domestico non in regola quando privo di un contratto formalizzato, in base alle mansioni richieste, e non è iscritto all’INPS per il versamento dei relativi contributi previdenziali. In altre parole, si configura una situazione di lavoro nero. Ma quali sono gli obblighi che il datore di lavoro deve rispettare, per non trovarsi in una situazione di irregolarità?
Gli obblighi del datore di lavoro
Affinché possa garantire una posizione regolare, il datore di lavoro deve sottostare a diversi obblighi normativi per la corretta assunzione di una collaboratrice domestica o, ancora, di una badante.
Innanzitutto, è necessario stipulare un contratto scritto con la collaboratrice domestica, ai sensi del Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL) per il settore domestico. In linea con l’articolo 6 dello stesso CCNL Domestici, l’accordo dovrà riportare:
- gli orari di lavoro;
- la retribuzione concordata;
- ferie e permessi;
- altre condizioni ed esigenze lavorative, come ad esempio la convivenza del lavoratore.
Dopodiché, entro 24 ore dall’inizio del rapporto lavorativo, il contratto deve essere inoltrato all’INPS, per la corretta gestione dei contributi previdenziali e assistenziali. Il datore di lavoro è infatti tenuto a versarli in base alle ore lavorate e alla retribuzione oraria. Ad esempio, per una collaboratrice domestica convivente, i contributi includono quote per:
- pensione;
- malattia;
- maternità;
- disoccupazione e CUAF.
È bene ricordare che, comunicato il rapporto di lavoro all’INPS, viene contestualmente aperta la relativa posizione assicurativa all’INAIL, per la gestione degli infortuni sul lavoro. Il relativo premio è sempre a carico del datore di lavoro. La mancata registrazione all’INPS, o l’omissione dei relativi pagamenti, espone a possibili sanzioni, come si vedrà nei prossimi paragrafi.
Ancora, è utile sapere che il datore di lavoro deve verificare il regolare possesso del permesso di soggiorno per i lavoratori extracomunitari, prima di procedere alla loro assunzione, ai sensi del D.Lgs. 286/1998, come modificato dalla Legge 189/2002.
I rischi per il datore di lavoro di una collaboratrice non regolare
Compresi gli obblighi di legge, quali sono i rischi per il datore di lavoro che decide di assumere una collaboratrice domestica non regolare? Le conseguenze possono essere anche gravi, con sanzioni sia per il mancato contratto che per l’assenza di comunicazione all’INPS: per questa ragione, è sempre indispensabile informarsi su come assumere una colf regolarmente.
Quali sono i rischi per una donna delle pulizie non in regola
Innanzitutto, è utile capire quali siano i rischi di scegliere una collaboratrice domestica, come ad esempio una donna delle pulizie, senza formale regolarizzazione. In base al D.L. 12/2002 - convertito nella Legge 73/2002 - e al D.L. 510/1996 - convertito nella Legge 608/1996 - le principali sanzioni derivano dalla mancata regolarizzazione del contratto e all’INPS. La maxi-sanzione, prevista sempre dalla Legge 73/2002 per altri settori, non si applica al lavoro domestico, per il quale valgono sanzioni specifiche.
In linea generale, per il lavoro nero il datore può dover corrispondere:
- una sanzione tra 1.500 e 12.000 euro per ciascun lavoratore irregolare;
- una maggiorazione di 150 euro per ogni giorno di lavoro effettivo.
Ancora, per l’omessa comunicazione all’INPS, da effettuarsi entro 24 ore dall’assunzione, è prevista una multa da 200 a 500 euro per lavoratore, in base al D.M. del 30 ottobre 2007 e al D.L. 112/2008, convertito nella Legge 133/2008. Inoltre, in base alla Legge 388/2000, si potrebbe dover pagare fino al 30% annuo sull’importo evaso, con un minimo di 3.000 euro in caso di omissione totale, riduzioni in caso di regolarizzazione spontanea, e un massimo del 60%.
Non è però tutto, perché vi sono anche conseguenze per il pagamento in ritardo dei contributi:
- se la regolarizzazione è spontanea entro 12 mesi dall’omissione, si applica una sanzione pari al tasso d’interesse legale vigente maggiorato del 5,5%, fino a un massimo del 40% dell’importo evaso;
- oltre i 12 mesi, la sanzione sale fino al 60%, sempre dell’importo evaso.
L’eventuale assenza di copertura INAIL espone inoltre il datore al risarcimento di danni, cure mediche o invalidità dovute al rapporto lavorativo.
Infine, bisogna prendere in considerazione la possibilità di subire una vertenza per la colf senza prove. Entro 5 anni dalla cessazione del rapporto, la lavoratrice ha infatti facoltà di reclamare arretrati retributivi, ferie non godute, straordinari e contributi non versati. In assenza di prove - e, quindi, di documenti tracciabili come contratti e bonifici - il datore fatica nel dimostrare eventuali pagamenti e condizioni lavorative: in sede giudiziaria tende quindi a prevalere la versione della controparte, con condanne a pagamenti integrali, anche dei relativi interessi. A questo scopo, è utile sottolineare che una scrittura privata con la collaboratrice domestica può essere d’aiuto per attestare i pagamenti, ma non sostituisce il regolare contratto.
Cosa si rischia a non mettere in regola una badante
Allo stesso modo, la mancata regolarizzazione di una badante espone agli stessi rischi già elencati per le colf. Pertanto, si potrebbe dover corrispondere:
- dai 1.500 ai 12.000 euro per ogni lavoratore irregolare, con maggiorazioni di 150 euro per ogni giorno di lavoro effettivo;
- dai 200 ai 500 euro per la mancata comunicazione all’INPS del rapporto di lavoro;
- fino al 30% annuo sull’importo evaso sui contributi previdenziali, con un minimo di 3.000 euro in caso di omissione totale, riduzioni in caso di regolarizzazione spontanea, e un massimo del 60%;
- le sanzioni già viste per i pagamenti in ritardo dei contributi, pari al tasso d’interesse legale maggiorato del 5,5%, per un massimo del 40%, se entro i 12 mesi e fino al 60% dell’importo evaso oltre i 12 mesi.
Come facile intuire, valgono le medesime considerazioni anche in caso di infortunio della badante non in regola, per l’assenza di copertura INAIL, che potrebbe esporre il datore al pagamento dei relativi danni.
Tuttavia, nel caso delle badanti sono utili anche delle considerazioni aggiuntive. Per quanto possa accadere anche per le collaboratrici domestiche scelte per la gestione della casa, per l’assistenza ai malati è sempre più frequente il ricorso a lavoratori extracomunitari. Se non in possesso di un regolare permesso di soggiorno, in base al D.Lgs 286/1998 - modificato dalla Legge 189/2002 - il datore rischia:
- multe da 5.164 a 25.822 per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina;
- dai 6 mesi ai 4 anni di reclusione.
Come già visto per le colf, anche con le badanti si rischia di dover affrontare una vertenza senza prove. Ad esempio, con la scomparsa dell’assistito e la chiusura del rapporto lavorativo, è frequente il caso della badante in nero che chiede soldi agli eredi per TFR, ferie, straordinari o contributi non versati, proprio poiché le vertenze possono essere aperte entro cinque anni. In assenza di un contratto, bonifici e documenti che attestino i versamenti dei contributi, il datore si imbatte in conseguenze anche molto onerose.
Infine, non bisogna dimenticare che una posizione lavorativa irregolare potrebbe rendere più complesso intervenire legalmente in caso di abusi subiti: si pensi, ad esempio, allo sfratto della badante che non libera l’immobile al termine della collaborazione.
Cosa rischia una colf che lavora in nero
Ovviamente, i rischi non sono solo per il datore di lavoro, ma anche per la colf che accetta di lavorare in nero. Non vi sono sanzioni dirette, ma una lunga serie di svantaggi che dovrebbero sempre far propendere verso un’occupazione regolare. Infatti, senza il contratto, la lavoratrice perde tutele essenziali:
- nessun contributo INPS per la pensione;
- nessuna indennità di disoccupazione (NASpI);
- nessun contributo per la maternità;
- nessuna possibilità di usufruire di ferie retribuite;
- nessun supporto economico in caso di malattie o infortuni.
Come si regolarizza la collaboratrice domestica
Ma come si procedere per regolarizzare una collaboratrice domestica, se è già attivo un rapporto di lavoro in nero? Il primo passo è quello di proporre un accordo volontario con la lavoratrice, stipulando un contratto da collaboratrice domestica non convivente, o convivente, a seconda delle necessità. È però indispensabile che lo stesso contratto:
- sia conforme al CCNL Domestici;
- vengano specificati orari, retribuzione, ferie e condizioni dell’eventuale convivenza.
Dopodiché, si procede alla comunicazione all’INPS del rapporto di lavoro, aprendo la relativa posizione lavorativa.
Per sanare il precedente periodo irregolare, si può avviare una conciliazione per la colf in nero presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL) o tramite un sindacato, concordando il pagamento degli arretrati retributivi, dei contributi previdenziali e delle ferie non godute. Il verbale di conciliazione estingue la possibilità di eventuali vertenze. È inoltre utile ricordare che la presenza di una posizione di lavoro regolare permette di accedere agli incentivi fiscali previsti per legge, quali il bonus per colf e badanti.
Se la collaboratrice rifiuta la proposta di regolarizzazione, è bene che il datore di lavoro documenti tutti i tentativi - ad esempio, inoltrando le proposte con raccomandate con ricevuta di ritorno - e valuti la cessazione del rapporto di lavoro, così da ridurre le conseguenze di vertenze postume o di richieste agli eredi.
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