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Leoncavallo
Di Marmolada48 - Opera propria, CC0, https://commons.wikimedia.org

La notizia che ha sconvolto Milano, o almeno una sua parte, in un pigro giorno di mezza estate è stata quella del repentino sgombero della sede del centro sociale Leoncavallo di via Watteau. Un intervento opinabile sotto vari profili, così come doveroso sotto altri: il dibattito potrebbe andare avanti per ore senza che si possa stabilire con certezza da che parte stia la ragione. Certo è che i livelli di discussione sono almeno due, quello della rilevanza sociale del sito e quello dell’illegalità dell’occupazione dell’immobile. Cerchiamo di capire cosa è successo e quali potrebbero essere i possibili sviluppi futuri di una realtà milanese che è parte, nel bene e nel male, della sua storia.

L’ultimo sgombero del Leoncavallo

Il 21 agosto 2025, in anticipo sul termine previsto del 9 settembre, si è realizzato nello stabile di via Watteau, di proprietà della famiglia Cabassi, lo sgombero del centro sociale Leoncavallo disposto lo scorso 15 luglio. Uno sgombero richiesto fin dal 2003 e rinviato per oltre 130 volte nel corso di 20 anni, ma improvvisamente sbloccato in una lenta giornata di mezza estate. Ad accelerare tale presa di posizione contro l’illegalità hanno contribuito sicuramente i 3 milioni di euro di risarcimento dovuti dal Ministero dell’Interno ai Cabassi a causa dei mancati sgomberi. 

Leoncavallo, la duplice lettura: immobiliare e sociale

Ritengo doveroso, da qui in poi, specificare per onestà intellettuale che chi scrive non è imparziale sull’argomento. Classe 1981, fin dai miei anni da liceale sono stata simpatizzante con la cultura punk che nel Leoncavallo ha sempre avuto un baluardo e un punto di riferimento, anche se non ho mai condiviso certi eccessi, essendo, per indole ed educazione, più incline alla linea straight edge. Non posso quindi che guardare al caso Leoncavallo con partecipazione, ma anche con oggettività, sotto un duplice profilo. 

La questione immobiliare del Leoncavallo

Dal punto di vista della proprietà immobiliare, è chiaro che si tratta di un atto di ripristino della proprietà assolutamente dovuto e condivisibile. Ma è altrettanto chiaro che si tratta di un atto piuttosto tardivo e molto ben localizzato. Se infatti l’intervento, quali che siano state le cause scatenanti, si inserisce nella linea del Governo di difesa della proprietà immobiliare inaugurata con il Decreto Sicurezza e le sue pene inasprite contro l’occupazione abusiva (di case), è anche infatti indubbio che situazioni come quella del Leoncavallo sono presenti da molto tempo anche in diverse altre città italiane. C’è da auspicare allora che lo sgombero del centro sociale milanese sia il primo di una serie, per ristabilire finalmente il diritto dei proprietari di tutta Italia a disporre dei propri immobili dismessi e in disuso da decenni. 

Il Leoncavallo, pezzo di storia di Milano

Dal punto di vista sociale c’è invece da augurarsi che il valore storico e culturale del Leoncavallo non venga gettato via con il sigillo dei portoni di via Watteau. In queste ore si scontrano, su questo tema, le opinioni più disparate, su cui spicca quella di chi festeggia lo sgombero del Leoncavallo definendolo un covo di fannulloni dediti a passare le giornate in preda ai fumi dell’alcool e di un numero imprecisato di altre sostanze ricreative. Negare questa componente del centro sociale sarebbe avere le fette di salame sugli occhi, ma è innegabile anche che personaggi del genere si possano trovare in ogni contesto sociale, culturale e perfino lavorativo di Milano. E che non tutti questi contesti possano vantarsi di aver apportato, insieme a una certa componente di sregolatezza, anche una grossa fetta di genio. E non tutti, sicuramente, hanno raccontato un pezzo così rilevante della storia del capoluogo lombardo.

Le origini del centro sociale Leoncavallo

La prima occupazione avvenne nell’ottobre 1975 nella sede storica di Via Leoncavallo 22, magazzino abbandonato di 3600 mq convertito in spazio di espressione per collettivi e movimenti collocati a sinistra. L’area fu ripulita e ristrutturata, e fatta sede e fucina di laboratori artistici, culturali e sociali, nonché di dibattito politico e controinformazione. Importante fu la lotta all’emergenza eroina, documentata da Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, detto Iaio, che, in questo contesto, persero la vita in circostanze ancora da chiarire. Il fatto diede origine all’associazione Mamme del Leoncavallo, fondata proprio dalle madri di Fausto e Iaio e impegnata nella lotta all’eroina. Attraversando in modo non sempre pacifico gli anni di piombo e le relative tensioni tra movimenti estremisti armati, alla metà degli anni ‘80 il centro sociale divenne anche il punto di riferimento della cultura punk a Milano.

Il Leoncavallo negli anni 80-90

A fine anni ’80 l’area divenne proprietà della famiglia Cabassi, il che portò ad un primo sgombero e ad un clima da guerriglia urbana tra gli esponenti del centro sociale, culminato con i fatti di Genova del 2001, che sfociò nel 1994 nell’occupazione dell’attuale (ex) sede di via Watteau, sempre di proprietà dei Cabassi, che per alcuni anni tollerarono l’occupazione senza colpo ferire, e in un periodo di svolta progressiva verso un sempre maggiore pacifismo e difesa dei diritti sociali. Nel frattempo il centro sociale diventò un centro culturale riconosciuto anche da artisti di livello nel mondo della musica, dell’arte e della letteratura. Piace a molti citare il fatto che la street art espressa in graffiti sui muri del centro sociale fu definita da Vittorio Sgarbi, critico d’arte e allora assessore della giunta Moratti – non propriamente una personalità orientata a sinistra, quindi – la cappella Sistina contemporanea, arrivando a chiederne il vincolo.

La fase istituzionale del Leoncavallo

L’istituzionalizzazione del Leoncavallo, ormai conclamata sede di attività socioculturali integrata nel tessuto sociale milanese, si completa dopo Expo 2015, quando la ex-cartiera occupata diventa (in realtà non per la prima volta) sede delle elezioni primarie in cui verrà scelto il candidato Beppe Sala a sindaco di Milano. Da tempo il centro sociale non è più un problema sotto il profilo dell’ordine pubblico; tuttavia il tema dell’occupazione abusiva, a quanto pare, è tornato di attualità e ha portato al recente sgombero.

Leoncavallo: prossima sede in via San Dionigi?

Questa potrebbe però non essere la fine del Leoncavallo: l’amministrazione Sala, infatti, da tempo ragionava sul trasferimento delle attività del centro sociale in un’altra sede, che potrebbe essere quella di un immobile dismesso di proprietà del Comune in via San Dionigi, immobile che necessita tuttavia di interventi di riqualificazione profondi e di bonifica dall’amianto. Costi che andrebbero in capo all’associazione Mamme del Leoncavallo e che ammonterebbero a circa quattro milioni di euro, da reperire tramite raccolte fondi. Rese difficoltose dall’anticipo sui tempi dello sgombero; ma ancora non è detta l’ultima parola. Una delibera del Comune nei prossimi giorni potrebbe sbloccare infatti la situazione e ridare una casa al Leoncavallo. Stavolta, con tutti i crismi della legalità.

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