Prometeia rivede al ribasso la stima del Pil italiano
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Coronavirus, le conseguenze economiche secondo gli esperti
GTRES

Quali saranno le conseguenze del Coronavirus sul Pil italiano? Provano a rispondere il centro studi Prometeia e altri esperti provando a calcolare l’impatto economico dell’allarme contagio sulle attività produttive (non solo sul settore immobiliare e nel segmento degli affitti brevi in particolare).

L’ultimo dato sul Pil italiano aveva già mostrato una discesa trimestrale dello 0,3% nell’ultimo trimestre 2019. La scorsa settimana, con le informazioni disponibili al 17 febbraio, Prometeia aveva pubblicato un focus sul virus con previsioni sul Pil stimate in un -0,1% () come conseguenza del contagio in Cina.Un quadro che è però cambiato con i contagi nel nord Italia e con il conseguente blocco delle attività in queste regioni, che pesano complessivamente per il 54% del Pil italiano.

“È del tutto evidente, - precisano da Prometeia, - che qualunque valutazione degli effetti economici risulta in questo momento arbitraria, poiché essi dipendono in modo decisivo dalla durata del contagio e dalle misure atte a contenerlo. È comunque molto probabile che, pur assumendo che si mettano in atto politiche di sostegno alle imprese in difficoltà e che la situazione tenda a normalizzarsi entro metà marzo, il primo trimestre registri una contrazione del PIL nell’ordine dello 0.3% (primo trimestre 2020 su ultimo trimestre 2019; una revisione al ribasso di 0.4% rispetto al brief di febbraio), e dunque si possa definire una condizione di recessione tecnica (due trimestri consecutivi di caduta del prodotto interno lordo), la quarta recessione dal 2009. Nell’ipotesi di una ripresa nei trimestri successivi in linea con quanto previsto nel Brief di febbraio, e dunque che la perdita nel primo trimestre non venga recuperata in quelli successivi, si registrerebbe una caduta del PIL di analogo ammontare nella media d’anno”.

Quali le attività produttive più colpite? “Concentrandoci sulla Lombardia, di certo la regione più colpita, i servizi totali rappresentano il 16% del PIL nazionale, il 5.7% considerando solo le attività commerciali, turistiche, di trasporto, di alloggio e ristorazione, il comparto dei servizi verosimilmente più interessato dalle limitazioni”. 

Quanto impatta una settimana di blocco sulla produzione nazionale? “Nell’ipotesi in cui il PIL venga prodotto uniformemente nel tempo, in una settimana lavorativa si produce in media il 2% del PIL annuo. Di conseguenza, ipotizzando che si perda il 20% del valore aggiunto del comparto del commercio, trasporti e ristorazione e turismo della Lombardia per una settimana, la perdita di PIL per l’Italia sarebbe pari allo 0.025% in termini annui, ma la caduta del PIL nel primo trimestre potrebbe arrivare allo 0.1%. Ovviamente ad essa andrebbero a sommarsi gli effetti negativi, dimensionalmente minori, di analoghe perdite di prodotto nelle altre regioni”. 

 L’impatto economico legato a una minore produttività nel Nord Italia è al momento difficile da stimare, - commenta invece Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer UBS WM Italy, - ma potrebbe portare alla revisione delle stime di crescita del Pil fatta da molti per quest’anno. Questo impatto potrebbe essere attenuato da un’attività di rifornimento delle scorte e da una politica fiscale più accomodante. Mentre la volatilità degli asset italiani rimarrà alta finché non ci sarà evidenza che l’epidemia è stata contenuta, - continua Ramenghi, - rimaniamo positivi sui bond governativi italiani, che continuano a offrire buoni rendimenti rispetto a quelli degli altri paesi periferici dell’Eurozona”.

 “A nostro avviso la crisi del coronavirus, che ha fatto vacillare i mercati per qualche giorno, va intesa come un "cigno nero", - aggiunge Didier Saint-Georges dell’asset manager Carmignac. - In questo senso, la crisi ha la stessa natura degli shock esogeni del passato, come gli attentati terroristici negli Stati Uniti nel 2001, il virus della SARS nel 2003 o l'incidente di Fukushima nel 2011. In tutti questi casi, i danni ai mercati e all'economia tendono ad essere in gran parte creati non dalla causa iniziale della crisi, ma piuttosto dalle reazioni alla crisi stessa, sia che si tratti di misure di contenimento - che danneggiano la domanda dei consumatori e, in una fase successiva, le catene di approvvigionamento - o di stress psicologico che nuoce alla fiducia, alla domanda dei consumatori e alle attività di rischio”.

 “I mercati esprimono chiaramente la loro avversione per l'imprevedibilità della situazione, - spiegano da Allianz GI. -  Riteniamo che il meccanismo di trasmissione più importante sia, da ogni punto di vista, il sentiment di consumatori, imprese e mercati finanziari. C'è però una nota positiva: le aziende europee presenti con impianti di produzione in Cina stanno di nuovo incrementando l’attività produttiva, segnale importante anche per le supply chain globali. In base al tipo di prodotto o servizio, una parte dei mancati consumi potrebbe rivelarsi solo un rinvio temporaneo. I consumatori potrebbero tornare a spendere i loro soldi, ad esempio per le auto come avevano inizialmente previsto, con il risultato di una ripresa cosiddetta “a forma di V” (V-shaped). Per altre attività, come ad esempio i ristoranti, i ricavi invece sono purtroppo persi per sempre”.

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