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Venerdì 8 aprile il Consiglio dei ministri ha approvato il Documento di Economia e Finanza (Def), nel quale sono contenute le previsioni sull’andamento economico dell’Italia, gli obiettivi di finanza pubblica e le principale riforme in cantiere per i prossimi anni. Vediamo cosa dice il testo.

Pil – La previsione del Pil per il 2016 è stata portata all’1,2%, dal +1,6% stimato nell’aggiornamento del Def 2015 del settembre scorso. Per il 2017 si indica un +1,4% (dall'1,6%) e per il 2018 un +1,5%.

Deficit – Per il 2016 il governo ha indicato un indebitamento al 2,3% del Prodotto, un valore che si raggiunge con i risparmi sulla spesa per interessi (grazie alla Bce) e l’extragettito legato al rientro dei capitali (voluntary disclosure). Per l’anno prossimo, però, il documento richiede maggiore flessibilità.

Debito –  Il debito è previsto in calo per la prima volta dopo otto anni al 132,4% per quest’anno, negli esercizi successivi a 130,9, 128 e 123,8 punti percentuali di Pil. Per accelerare il percorso di contenimento del debito, si attende la ripresa del programma di privatizzazioni, che attualmente resta previsto per uno 0,5% del Pil nel 2016.

Finanza per la crescita – In merito alle misure espansive, grande spazio sarà dato alle imprese, con un provvedimento che dovrebbe valere un +0,2% del Pil. Si prevedono l’azzeramento della tassa sui capital gain e misure di sostegno agli investimenti in aziende non quotate e sgravi sugli utili re-investiti. La pressione fiscale, inoltre, è prevista scendere di 0,7 punti percentuali collocandosi al 42,8% del Pil, che diventerebbe il 42,2% classificando il bonus 80 euro per gli effetti sul reddito netto dei lavoratori.

Grande attenzione è rivolta al capitolo investimenti, indicati come “le priorità per la crescita”. In particolare, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha sottolineato: “Per ritornare ad una crescita economica più sostenuta è necessario che il rapporto fra investimenti e Pil, che ha raggiunto un minimo di 16,5% nel 2015, risalga nei prossimi anni verso il 20%, dove si situava nel periodo pre-crisi”. E 3,5 punti percentuali di prodotto significa voler mobilitare 56 miliardi di investimenti in più.

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