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L'arte pubblica per dare nuova vita a un quartiere: a Roma il "progetto SanBa" ha cambiato le facciate di quattro palazzi (foto)
idealista/news

C'è un quartiere alla periferia di Roma, dove quattro facciate spente di alcuni edifici, messi a disposizione dall'Ater, hanno cambiato completamente volto. Una trasformazione avvenuta nell'ambito del "progetto SanBa", un'iniziativa che attraverso l'arte pubblica ha voluto dare nuovo valore a un territorio troppo spesso dimenticato ed emarginato e ha voluto coinvolgere gli abitanti rendendoli spettatori attivi.

Il "progetto SanBa" ha animato il quartiere di San Basilio, dallo scorso marzo, con laboratori organizzati nelle scuole presenti sul territorio e, a partire da maggio, con l'intervento di due artisti di fama internazionale che hanno cambiato volto alle superfici cieche di quattro palazzi. Liqen, spagnolo, e Agostino Iacurci, pugliese, si sono messi davanti alle facciate di questi edifici dando vita a una vera e propria rivoluzione visiva e culturale.

SanBa è un progetto nato dal gruppo Walls - realtà dedita all'arte pubblica e all'interazione tra la cultura figurativa, i cittadini e i territori urbani -, in associazione con la casa di produzione cinematografica Kinesis; realizzato grazie al sostegno economico di Fondazione Roma arte e musei, con il supporto di Zètema, Ater e Municipio Roma IV, il patrocinio dell'assessorato allo Sviluppo delle periferie, infrastrutture e manutenzione urbana di Roma capitale, e la collaborazione dell'assessorato alla Cultura, creatività e promozione artistica di Roma capitale. Simone Pallotta, curatore di Walls, ha spiegato a idealista news qualcosa in più su questa iniziativa.

Domanda. Come è nato il "progetto SanBa"?

Risposta. Noi di Walls da sempre teniamo una documentazione delle aree periferiche di Roma per conoscere tutte quelle superfici interessanti dove poter fare un certo tipo di interventi. Più o meno un anno e mezzo fa, casualmente, sono capitato a San Basilio, quartiere che conoscevo, ma non troppo. Passeggiando mi sono reso conto che questo quartiere ha 52 facciate cieche. Per noi è un dato molto interessante, perché si tratta di un luogo dove poter intervenire in maniera importante. È così nato il progetto. Siamo entrati in tutte le scuole del quartiere: per ogni scuola e per ogni età scolastica abbiamo inventato un laboratorio finalizzato a portare i ragazzi all'esterno e realizzare cose permanenti sul territorio, per farli diventare attori di un cambiamento visivo del loro quartiere. Poi, per creare un confronto visivo e culturale, abbiamo invitato degli artisti internazionali che fanno del grande muralismo, quindi dell'arte pubblica, il loro indirizzo primario di ricerca.

D. Qual è l'obiettivo dell'iniziativa?

R. Credo che questo confronto tra gli abitanti e gli artisti possa creare all'interno di un territorio una discussione sulla cultura e su come l'arte riesca a incidere sul modo di vivere il territorio stesso. Non voglio parlare di riqualificazione, perché secondo me è un termine di cui negli ultimi anni si è abusato e che è stato utilizzato in modo inappropriato. Penso che noi dovremmo essere gli ultimi ad arrivare sul territorio per riqualificarlo, prima ci vorrebbero le strade e tanti altri servizi. Diciamo che siamo una sorta di pionieri. La speranza è che il nostro intervento spinga gli enti e le istituzioni a fare di più. Il problema di questi territori è che sono spesso dimenticati e che gli abitanti si sentono a loro volta abbandonati. Farli sentire al centro di un progetto artistico fa sì che si riacquisti un minimo di consapevolezza e che le persone ritrovino interesse per il proprio quartiere attraverso l'arte.

D. Cosa si può dire degli artisti e delle opere che sono state realizzate sulle quattro facciate degli edifici del quartiere?

R. Ho scelto due artisti per fare quattro lavori, perché volevo che anche le opere degli artisti creassero un'identità visiva. Ho preferito un atteggiamento più rispettoso nei confronti del quartiere e ho voluto fare in modo che gli stessi artisti realizzassero delle opere che rimandassero una all'altra. Ho proposto gli artisti ai cittadini spiegando le ragioni della scelta, mostrando i loro lavori precedenti, non i bozzetti sui quali avrebbero lavorato. I cittadini hanno capito questa linea, hanno compreso che l'artista deve avere la sua libertà, e allo stesso tempo si sono sentiti coinvolti in un processo. Le opere di arte pubblica (la palla di vetro e il signore che innaffia la notte di Iacurci, i fiori e il rastrello di Liqen ndr) sono state realizzate su quattro delle 52 facciate cieche che rappresentano una tipologia di costruzione da un certo punto di vista abbastanza surreale: muri senza finestre, ma allo stesso tempo grandi schermi su cui poter lavorare in piena libertà. Noi parliamo di arte pubblica, perché la nostra arte tiene in considerazione il luogo in cui viene fatta ed è il risultato di un processo e di un lavoro. E questo è un fattore molto importante.

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1 Commenti:

geomello
29 Maggio 2014, 18:37

...molto bello, peccato che poi arrivano i graffitari a metterci la loro "firma" e nessuno li prende,vero?

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