Quando si tratta della messa in sicurezza del condominio, l'amministratore può intervenire sulle parti private. A stabilirlo l'ordinanza 14140/2021 della Cassazione.
Secondo quanto specificato, l'articolo 1130 del Codice civile afferma che l'amministratore del condominio deve compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio, ma nel caso in cui l'intervento urgente richiesto dal sindaco per tutelare la pubblica incolumità interessa anche le parti private, il condòmino non può opporsi alla messa in sicurezza del condominio.
Come spiegato dal Sole 24 Ore, che ha esaminato il caso, per tutelare la pubblica incolumità, il sindaco ha emesso un'ordinanza nei confronti di un condominio con la quale ha ingiunto l'esecuzione della rimozione di calcinacci e il rifacimento dei balconi.
In seguito all'ordinanza del sindaco, l'amministratore di condominio ha convocato l'assemblea che ha commissionato i lavori. Una condomina ha però citato in giudizio il condominio, l'ingegnere e l'impresa. Secondo la condomina, infatti, nella sua proprietà non c'è stata una corretta esecuzione dei lavori, che hanno impedito l'accesso al suo locale caldaia.
La domanda della condomina è stata rigettata dal Tribunale, secondo il quale "il compimento di atti conservativi per la salvaguardia del condomino legittimava l'intervento dell'amministratore, anche senza la previa convocazione dell'assemblea. Inoltre, l'approvazione dei lavori di messa in sicurezza indicati nell'ordinanza non richiedeva il consenso della condomina, poiché era un intervento implicante il compimento di atti diretti alla conservazione dell'edificio condominiale e all'eliminazione di una situazione di pericolo per la pubblica incolumità; quindi alla loro esecuzione la condomina non poteva opporre che il balcone, su cui dovevano essere eseguiti, fosse di sua privata proprietà".
Come sottolineato, la Corte di appello ha poi accertato che l'assemblea condominiale non aveva approvato il progetto tecnico esecutivo, ma solo il piano di interventi, "secondo la relazione dell'ingegnere in cui era prevista la necessità della demolizione totale dei balconi di cui il predetto professionista aveva accettato la pericolosità statica. La successiva assemblea approvava l'esecuzione dei lavori, ma la condòmina aveva palesato la volontà di mantenere inalterata la facciata".
La condomina ha presentato ricorso, che però è stato rigettato dalla Cassazione, dal momento che senza una specifica impugnazione "non poteva qualificare la sua domanda come quella di riduzione in pristino del balcone, in quanto i giudici di merito avevano qualificato la domanda come azione di risarcimento dei danni e tale affermazione era passata in giudicato".
In base a quanto spiegato, "il ricorso non si confrontava con la sentenza del Tribunale, confermata dal giudice di appello, la quale aveva ritenuto che la domanda della condomina si limitava a dedurre i danni per l'illegittimità delle delibere assembleari di approvazione dei lavori e non per la loro inadeguata esecuzione, secondo la regola dell'arte".
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