L’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi dal 21 al 26 per cento contenuta nel testo della Legge di Bilancio 2026 è il tema del giorno relativamente alle locazioni turistiche. L’Associazione dei gestori professionali di appartamenti turistici, Aigab, è in fase di colloqui on i vertici del Governo per tentare di contenere una misura che potrebbe potenzialmente ridurre l’offerta turistica italiana danneggiando al contempo sia il valore del patrimonio immobiliare sia il reddito di mezzo milione di famiglie, senza per questo aumentare l’offerta di alloggi in affitto a lungo termine, che in teoria sarebbe lo scopo della norma. A fare il punto della situazione con idealista/news è Marco Celani, Ceo di Italianway e presidente Aigab.
“L’aumento dell’aliquota dal 21 al 26 per cento pare non avere una giustificazione se non quella di fare cassa, - afferma Celani, - ma FI e Lega si sono espressi a favore della tutela del diritto delle famiglie italiane a integrare il proprio reddito tramite le case possedute, senza dover sottostare a una tassazione che secondo alcuni giuristi è iniqua e impugnabile. Non si capisce infatti perché affitto lungo, breve e transitorio debbano essere tassati in modo diverso”.
Lo scopo dovrebbe essere quello di orientare il mercato verso gli affitti lunghi
Non è così. Sono 42 mila i proprietari gestiti da Aigab e da essi sappiamo che appartamenti in affitto lungo e breve non sono sovrapponibili. Il 31 per cento delle case sono case ereditate che altrimenti resterebbero sfitte, come lo erano il 26 per cento di esse; il 20 per cento erano case provenienti da proprietari che affittavano a lungo termine e che hanno dovuto affrontare esperienze disastrose con i propri inquilini.
Se si volesse intervenire su questa quota per incrementare gli affitti a lungo termine occorrerebbe piuttosto creare misure a tutela dei proprietari; eppure non si è visto nulla del genere.
Non ci potrebbe essere la volontà di equiparare l’affitto breve all’investimento finanziario puro, applicando ad entrambi la stessa aliquota del 26 per cento?
L’effetto potrebbe essere questo, ma tra investimento finanziario e reddito da affitto breve esiste una differenza fondamentale: i costi di investire in titoli si limitano alle commissioni di gestione, quelli di affittare un appartamento possono arrivare al 50 per cento del reddito, tra adempimenti, remunerazione dei portali e impegno per il mantenimento della casa. In confronto potrebbe essere più conveniente vendere la casa e investire i soldi in Borsa; ma cosa succederebbe se tutti facessero così? I prezzi immobiliari crollerebbero. E’ proprio questo che si vuole, depauperare il patrimonio immobiliare degli italiani?
Per molti non sarebbe un male e anzi sarebbe più democratico
Non è così semplice. Il calo dei prezzi non è un bene ovunque; ci sono borghi sperduti in Italia ricchi di case vecchie, non certo ville, che se svendute non finiscono certo sul mercato residenziale ma in mano a stranieri che a loro volta affitteranno in nero. Invece nelle città continuerà ad esserci domanda di alloggi per turismo e grandi eventi e il risultato sarà quello di avere una minore offerta di appartamenti in affitto breve, che costituiscono una alternativa all’ospitalità alberghiera. La quale vedrà aumentare i prezzi, al diminuire dell’offerta, mentre a latere avremo sempre un mercato sommerso di affitti gestiti in modo approssimativo, che serpeggia sui social come già avviene a Barcellona, New York e altri casi documentati.
In definitiva avremo prezzi alberghieri più alti e appartamenti di qualità inferiore affittati in nero, con rischi superiori sia per gli utenti che per i proprietari. Con conseguente fuga di turisti verso l’estero e diminuzione del giro di affari indotto.
La percezione però è che affittare casa sia un lusso o che sia roba da professionisti, e che quindi qualche punto percentuale di tassazione in più non sia nulla di che
La tassazione è di 5 punti percentuali in più, che comunque significa il 20 per cento in più rispetto all’ammontare precedente. In più tale tassa coinvolge praticamente tutte le prenotazioni, perché è davvero esiguo il numero di prenotazioni che non passano dai portali. Di fatto è un mettere le mani in tasca a mezzo milione di italiani che affittano appartamenti per integrare il proprio reddito, come è loro diritto, oltre al fatto che si mette un freno alla professionalizzazione della gestione di appartamenti. E diminuisce anche il gettito fiscale, perché i professionisti fanno pagare ogni imposta dovuta, a differenza di chi affitta in nero. La speranza è che questo messaggio sia recepito da un Governo che si dice liberale e che si auspica non voglia danneggiare mezzo milione di famiglie, che con l’indotto significa tre milioni circa di italiani. Tre milioni di elettori, per la precisione.
per commentare devi effettuare il login con il tuo account