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Il lato positivo è che la manovra 2019 (il cosiddetto Def) ha trovato 27 miliardi per finanziare le costose misure previste. Quello negativo: a pagare il conto è il rapporto deficit/Pil, che salirà al 2,4% per i prossimi tre anni. Esulta il governo, un po’ meno i mercati: Piazza Affari viaggia in negativo, i titoli bancari affondano, lo spread decolla. Vediamo cosa rischia l’Italia dopo questa decisione.

Perchè è importante un deficit/Pil sotto il 2%

La premessa da fare è che il rapporto “ottimale” tra deficit (ovvero il saldo negativo dei conti dello Stato) e il Pil lo stabilisce l’Europa. Se è vero che il trattato di Maastricht fissa tale livello al 3%, e se è altrettanto vero che con un parametro al 2,4% l’Italia sarebbe comunque “in regola” da questo punto di vista, è anche vero che per l’Italia vale un discorso leggermente diverso. Nel 2012 è stato infatti votato un Patto di Stabilità che impone l’impegno per gli Stati membri di portare il rapporto deficit/pil quanto più possibile vicino allo zero, ovvero all’obbiettivo del pareggio di bilancio che l’Italia ha anche inserito nella Costituzione Italiana. Questo impegno si fa particolarmente pressante per quei Paesi che hanno una situazione di debito pubblico particolarmente dissestata, per evitare che in futuro possano dare problemi simili a quelli dati dalla Grecia, che ai tempi della crisi ha necessitato di un costoso salvataggio.

L’Italia ha un rapporto debito/Pil vicino al 132% (contro il 60% richiesto dall’Europa), quindi si può dire che il nostro Paese non possa permettersi troppe alzate di coda. E in effetti negli ultimi anni il nostro deficit/Pil è stato in costante calo, raggiungendo nel 2017 il 2,3% del Pil. Per quest’anno ci si attendeva un ulteriore calo. Il ministro Tria sarebbe stato disposto a concedere un rapporto dell’1,9%, che avrebbe evitato “bacchettate” da parte dell’Unione Europea. Invece, l’accordo prevede un aumento al 2,4% per i prossimi tre anni. Che non sarà senza conseguenze. Ecco quali.

1. Forte ribasso nei mercati finanziari

A dare immediato seguito alla notizia sono stati i mercati: Piazza Affari ha aperto in forte ribasso, con i titoli bancari tra i più interessati dai cali. I fondi di investimento internazionali, infatti, puntavano sulla vittoria dell’ipotesi Tria, e hanno investito in questo senso. Se invece tale ipotesi verrà smentita, e il rapporto deficit/Pil sarà davvero al 2,4%, una prossima ondata di vendite da parte di fondi di investimento di tutto il mondo colpirà, con tutta probabilità, l’Italia, affossando ulteriormente le banche e, di conseguenza, tutti gli altri titoli del listino.

2. Lo spread a 300 punti base peserà sul costo dei mutui

Si aggiungano poi i rendimenti dei titoli di Stato, che non sono altro che il costo che l’Italia deve sostenere per ottenere prestiti: il BTp a dieci anni si avvicina al 3%, e il suo spread con il Bund tedesco ha raggiunto i 250 punti base. Secondo gli analisti di Bloomberg, il parametro potrebbe tornare sulla soglia critica dei 300 punti base. Quali siano le conseguenze dello spread alto è tema che abbiamo già affrontato, ma in sintesi si può dire che se la situazione dovesse persistere ciò si tradurrebbe in un maggiore costo di rifinanziamento per i prestiti dello Stato, che si ripercuoterebbe a catena su tutte le banche e, infine, su coloro che dalle banche acquistano servizi e finanziamenti, come prestiti e mutui. Altra ragione, questa, dei cali odierni in Borsa dei titoli bancari.

3. Probabile declassamento dell'Italia da parte delle agenzie di rating

Altra conseguenza negativa di questo scenario sarà l’occhio malevolo delle agenzie di rating sul nostro Paese. Standard&Poor’s e Moody’s avevano avvertito: la valutazione sul rischio di credito italiano sarebbe stata in sospeso fino a quando la manovra non fosse stata approvata e presentata. Con la decisione sul deficit/Pil, il declassamento potrebbe essere alle porte. E la qualifica a “junk bond” per i titoli di Stato italiani si avvicinerebbe sempre più.

4. Bocciatura da Bruxelles, procedura di infrazione, Italexit?

Infine, ma non meno importante, il significato di questa scelta nei riguardi dell’Unione Europea. Contravvenire a una precisa richiesta di Bruxelles equivale a una dichiarazione di indipendenza? Si profila il rischio di Italexit? Probabilmente per immaginare questo è presto. Sta di fatto che senz’altro, nei prossimi mesi, l’Italia si guadagnerà un bollino nero non da poco. A fine ottobre la Commissione Europea dovrà infatti valutare la manovra di bilancio, e la bocciatura, con un deficit nominale oltre il 2% del Pil, è già stata annunciata senza mezzi termini da Bruxelles. Che raccomandava all’Italia un impegno verso il pareggio di bilancio, e si troverà invece una deliberata violazione che farà perdere, probabilmente, l’”indulgenza” finora mostrata verso un Paese che già così apertamente viola la richiesta di un debito/Pil al 60%. Potrebbero essere quindi in arrivo sanzioni o richieste ancora più stringenti in termini di contabilità statale: entro il 30 novembre potrebbe essere “suggerita” dalla Commissione una manovra correttiva. Che porrebbe il Governo davanti ad una scelta radicale: restare in carreggiata o incorrere, il prossimo maggio, in una procedura d’infrazione che prevede un deposito dello 0,2% del Pil e l’obbligo di ridurre il debito di un ventesimo all’anno. L’eventuale scelta del Governo di impuntarsi contro questa decisione potrebbe avere conseguenze imprevedibili.

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