Sul fronte delle pensioni si torna a parlare della flessibilità in uscita. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, ha infatti fatto sapere che c’è la volontà politica di affrontare la questione nella prossima legge di Stabilità. A patto, però, che il quadro di finanza pubblica lo consenta. Senza contare che tutte le ipotesi di intervento sulle età di pensionamento prevedono delle penalizzazioni, ciò significa un assegno ridotto.
Il costo dell’intervento
Le risorse necessarie per anticipare il pensionamento ammonterebbero tra i 5 e i 7 miliardi di euro l’anno. Una somma di denaro non così semplice da trovare, dal momento che la prossima manovra dovrà tra le altre cose disinnescare 15 miliardi di aumenti automatici di Iva e accise e dovrà prevedere 7-8 miliardi per riportare in linea il deficit strutturale qualora l’Unione europea non concedesse altri margini di flessibilità sul deficit.
Le ipotesi in campo
Una delle opzioni in esame è quella presentata dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, che prevede un’uscita anticipata dal lavoro a partire da 63 anni e 7 mesi, 20 anni di contributi e un importo minimo maturato di 1.500 euro, con una penalizzazione di circa il 10-11% dell’assegno mensile.
Ma c’è anche la proposta avanzata in Parlamento dal presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, e dal sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, che consentirebbe di lasciare il lavoro con 35 anni di contributi e una penalità del 2% per ogni anno di anticipo. Andando in pensione a 62 anni si avrebbe una penalizzazione dell’8%.
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