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Nel suo intervento a immonext, il forum di idee organizzato da idealista per riflettere su passato, presente e futuro del mercato immobiliare, Marco Valerio Lo Prete, giornalista Rai e autore di “Italiani poca gente”, ha fatto una riflessione sui trend demografici e su come essi si ripercuotono e si ripercuoteranno sul mercato immobiliare.

L’elemento di contesto esogeno, che però influenza il mercato immobiliare, è la demografia. In Italia abbiamo 60,8 milioni di abitanti, 190 mila persone il saldo demografico negativo, 1,32 figli in media per donna il tasso di fecondità (a fronte di un tasso di fecondità naturale di oltre 2, livello che consente a una popolazione di rigenerarsi). La previsione Istat di qualche mese fa ha mostrato che la popolazione italiana scenderà in meno di 50 anni ad almeno 54 milioni di persone, tra 100 anni a 16 milioni.

Tuttavia, uno shock demografico è già in corso, non va atteso. La popolazione italiana sta già cambiando. L’Italia è uno dei pochi Paesi dove la popolazione è già in calo, in Europa, nonostante i flussi migratori, così come anche il tasso di fecondità. Nel 1995 siamo anche stati il primo Paese al mondo in cui fosse più probabile, camminando per strada, imbattersi in un over 65 che in un under 18. Nel 1980 in Italia 17 milioni di persone avevano meno di 20 anni e 10 milioni ne avevano più di 60. Adesso è esattamente il contrario. Oggi in Italia il 40% dei giovani sono lavoratori: 2,5 milioni e mezzo in meno che negli anni 80. Questo perché sono venute a mancare 4 milioni e oltre di persone, che sono cresciute, e non ne sono nate di nuove.

Paragonando la situazione ad un orologio, se la demografia rappresenta la lancetta delle ore (quasi ferma, ma si muove in modo inesorabile), l’economia è la lancetta dei minuti, su cui l’impatto della demografia si fa visibile nell’immediato. Ci sono infatti già ripercussioni sulla spesa sanitaria e per le pensioni, oggi il 22% del Pil. Tra 20 anni tale spesa sarà il 27% del Pil. Ovvero, 100 miliardi di spesa sanitaria e pensioni in più. Se in Germania per ogni disoccupato si spendono 3.700 euro per rimetterlo sul mercato del lavoro, in Italia se ne spendono 100. Perché tutto è assorbito dalla spesa pubblica e sanitaria.

Quindi: molte case, poca gente. Gli analisti predissero che quando i baby boomers sarebbero entrati nel mondo del lavoro avrebbero acquistato immobili, sottoforma di fondi o case o altro. Ecco spiegato il primo driver dell’aumento dei prezzi immobiliari. Quando però ne usciranno, si prevede che tale domanda calerà. E di conseguenza i prezzi. Unito al fatto che gli over 50 lasceranno molte case vuote, non più abitate dalla famiglia.

L’intenso invecchiamento crea squilibri, quindi il settore immobiliare dovrà guardare anche ai cambiamenti interni alla popolazione. 20 anni fa la media dei nuclei familiari era di 2,7 persone, oggi di 2,4. Oggi una famiglia su tre in Italia è composta da una persona sola. Aumentano gli immigrati: nel 1998 gli immigrati erano meno dell’1% della popolazione, oggi sono oltre il 9%. Si tratta di squilibri che vanno ad aggiungersi alla contrapposizione nord-sud, centro-periferia.

Inoltre, 20 anni fa il rapporto tra persone over 65 e persone con meno di 15 anni era di 15, oggi è di 168, tra 20 anni sarà di 265 (quindi 265 over 65 ogni 100 under 15). Di conseguenza, se anche oggi aumentasse il tasso di fecondità, le donne che hanno possibilità di fare figli sono calate, quindi calerebbe in ogni caso la popolazione.

Ciò si riflette sulla questione del debito pubblico: uno dei disincentivi più forti alla natalità, ma di conseguenza anche alla sostenibilità delle pensioni. E quindi incertezza, che si ripercuote anche sulla capacità di acquisto delle persone (ecco perché il calo della domanda di mutui).

Quindi anche il mercato immobiliare non potrà non confrontarsi con questi trend demografici per adeguare la direzione dei propri investimenti.

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