Commenti: 0
La teoria dello scaricabarile: perché alcuni impiegati risolvono i problemi degli inefficienti
GTRES

I libri di management degli Stati Uniti sono pieni di casi basati su tutti i tipi di dipendenti: il ritardatario, il silenzioso ma efficiente, il superbo, il chiacchierone, il prepotente... La verità è che tutti questi modelli possono essere ridotti a due: i dipendenti che danno problemi e quelli che risolvono i problemi.

I primi rappresentano uno dei più grossi mal di testa dei direttori delle risorse umane perché creano malumori, fanno sorgere dannosi paragoni, infastidiscono i buoni impiegati e rompono l’armonia della squadra. Ma perché è difficile metterli da parte?

Perché i capi non lo scoprono. E’ la prima ragione che spiega la loro sopravvivenza all’interno del branco. La teoria dell’evoluzione di Darwin funziona anche in azienda. L’impiegato problematico sa come usare i suoi strumenti per mascherare atteggiamenti dannosi: lavora quando il boss è nei dintorni, altre volte è così subdolo che se l’altro dipendente va a lamentarsi con il capo, ribatte che è solo una percezione personale e che sta esagerando.

Il dipendente “troublemaker” si caratterizza anche per l’ostilità verso le innovazioni e per non saper risolvere una nuova attività che richiede, ad esempio, piccole competenze informatiche con il foglio di calcolo di Excel: “Non lo capisco”, “E’ molto complicato per me”. Poi fa due cose: va dal capo facendogli perdere tempo o lo fa perdere ai colleghi, che si trovano a dover dare spiegazioni che il dipendente problematico avrebbe potuto imparare con un po’ di interesse.

I dipendenti problematici sono anche quelli che si assentano dal lavoro per un semplice mal di testa, ma si ingegnano per portare una giustificazione che parla di “emicranie acute”. Sanno, naturalmente, come pianificare le loro vacanze prima di chiunque altro, si riservano i giorni migliori e alla fine rifuggono determinati compiti.

E qui arriva il peso che viene scaricato su un'altra persona. Quando “troublemaker” non fa il suo lavoro, chi riceve quel peso? I dipendenti più efficienti. Il capo, per evitare problemi, passa il carico di lavoro a chi lavora. E i dipendenti responsabili sanno che la squadra può essere penalizzata se il lavoro non va avanti, così si assumono sulle proprie spalle tutto il carico di lavoro dell’inefficiente.

Quando la situazione diventa ingestibile, l’azienda ha un serio problema perché prima o poi le discussioni esploderanno rumorosamente nel bel mezzo dell’ufficio.

Si tratta di un problema molto comune nelle aziende, tanto che un gruppo di dipendenti ha creato un divertente saggio e lo ha assegnato all’inesistente Università del Massachusetts (che si può trovare su Internet). Il trattato fa una lista dei personaggi dell’ufficio, tra cui spicca il boss o il browndispatcher.

E cosa succede quando il "troublemaker" è il capo?

Questo è quello che è successo quest’anno a un’azienda catalana, dove due dipendenti efficienti si sono dimessi perché non potevano più confrontarsi con il loro capo problematico. Il capo ha domandato loro se se ne andavano perché avevano un’offerta di lavoro migliore, ma la risposta è stata “no”, se ne andavano perché non ce la facevano più.

Non c’è soluzione per il dipendente problematico? Sì, c’è. La chiave sta nel direttore delle risorse umane, che deve condurre periodicamente sondaggi anonimi. E non è necessario che l’idea provenga dalle Risorse Umane. Può venire da un capo che vuole conoscere i segreti della sua squadra. Basta andare a mangiare con la squadra o fare un sondaggio per e-mail.

E se è il capo stesso il problema, allora, dovrebbe essere consapevole di come risolverlo, dal momento che i capi sono i primi ad eccellere nell’arte del problem solving. Non diventare un “troublemaker”. Quello che succede è che molti non lo sanno... ancora.

Vedi i commenti (0) / Commento

per commentare devi effettuare il login con il tuo account