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Francesco Daveri, economista
L'economista Francesco Daveri idealista/news

La diffusione del coronavirus sta allarmando e mettendo sotto pressione molti Paesi nel mondo. Ma non si parla solo di emergenza sanitaria, comincia infatti a destare seria preoccupazione il rischio che si corre sul fronte economico. Per capire meglio cosa sta accadendo, idealista/news ha interpellato Francesco Daveri, economista, professore di Macroeconomic Practice alla School of Management dell’Università Bocconi e direttore del Full-Time Mba.

Il contraccolpo economico dovuto alla diffusione del coronavirus comincia a destare seria preoccupazione. Cosa sta accadendo?

“L’attuale crisi non sta coinvolgendo tutti i Paesi nello stesso modo e le preoccupazioni sono differenti. Un termometro di questo comincia a manifestarsi anche nelle Borse. La settimana scorsa sono scese ovunque, perché si era diffusa l’opinione di un virus globale capace potenzialmente di precipitare l’intera economia mondiale in recessione, ma da lunedì 2 marzo abbiamo assistito a un primo rimbalzo delle Borse sia pure con qualche differenza tra Paesi.

I mercati asiatici lunedì mattina hanno aperto con dei segni ‘+’ anche consistenti. E’ stato registrato addirittura un +3% in Cina, l’epicentro della crisi e quindi l’area dove potenzialmente le Borse potrebbero soffrire in modo maggiore. Tanto più, considerando che proprio domenica 1° marzo è stato diffuso un dato molto negativo relativo all’andamento del settore manifatturiero cinese. L’indice Pmi per il settore manifatturiero Markit/Caixin a febbraio ha segnato 35,7 punti. Il dato della Cina relativo al mese di febbraio, raccolto proprio nel momento in cui stava scoppiando la crisi cinese per il coronavirus, è dunque molto al di sotto dei 50 punti (la soglia al di sotto della quale ci si aspetta una crescita negativa).

I mercati però non reagiscono al passato, ma incorporano le aspettative per il futuro. A fronte dei dati marcatamente negativi per la Cina, sui mercati si è affermata l’attesa di un forte intervento di sostegno da parte delle banche centrali di tutto il mondo. Se possono farlo, le banche centrali ridurranno il tasso di interesse da esse controllato. La Federal Reserve lo ha fatto riducendo i tassi di riferimento per i mercati finanziari nella giornata di martedì. La Banca centrale europea, che ha già i tassi a zero, probabilmente aumenterà gli acquisti sui mercati finanziari per sostenere l’andamento dei titoli. Nell’insieme, a partire dalla mattina di lunedì 2 marzo i mercati hanno intravisto la possibilità di una reazione alla crisi attuale che possa controbilanciare le tendenze recessive. Per i mercati avere dei tassi di interesse molto bassi, che è l’attuale prospettiva con gli aiuti delle banche centrali all’economia, rappresenta la possibilità di ottenere denaro a tassi vantaggiosi per poter investire.

Questa inversione di tendenza è cominciata in Asia ed è proseguita in America con rialzi superiori al 4 per cento a Wall Street sempre nella giornata di lunedì e si è poi estesa anche in Europa il giorno dopo. A trainare i rialzi ovunque l’attesa di una svolta nel comportamento delle banche centrali e dei governi, il che fa pensare per il meglio nel futuro. Questo è avvenuto non dopo un mese, ma dopo la settimana peggiore dai tempi di Lehman Brothers. Il dato di lunedì mattina è molto importante e deve indurre a riflettere”.

Sul fronte europeo e italiano cosa sta succedendo?

“Nella Borsa italiana lunedì mattina c’è stato un altro tonfo, nonostante il governo abbia dichiarato che farà qualcosa. Un calo poi parzialmente corretto nella giornata di martedì. Il problema è che il governo può fare qualcosa, può mettere 3 o pochi miliardi di euro, non i 1.000 miliardi di euro, che potrebbe essere la cifra necessaria a fronte di una recessione globale. Quindi quello che l’Italia sta pagando – e che un po’ tutte le Borse europee stanno pagando rispetto a quelle asiatiche e a quella americana – è il fatto che l’Europa stessa ancora non si è decisa su cosa fare. Nel corso della settimana dovrebbero arrivare dei segnali. Ma se questi segnali arrivano dai singoli governi alla spicciolata sono poca cosa. Quello che ha fatto il governo italiano è in un certo senso un atto dovuto di fronte alla crisi che si sta manifestando in alcuni settori, ma non è in alcun modo una cosa decisiva a fronte del rischio di una forte recessione all’interno della nostra economia.

In alcune parti del mondo – in Cina, negli altri Paesi asiatici e negli Stati Uniti – si vede che la politica è già pronta a reagire, l’Europa (per la precisione, i governi dei Paesi europei) invece è divisa. E’ importante che l’Europa riesca a far vedere che è in grado di fare uno scatto di reni confrontabile con quello che ci si può aspettare dagli Stati Uniti, dalla Cina e dalle altre grandi aree del mondo. Nella settimana iniziata lunedì 2 marzo i mercati hanno mostrato il loro pessimismo sulle possibilità di una risposta europea alla crisi commisurata a quanto sarebbe richiesto dall’entità della sfida”.

Landamento dei mercati può stimolare una reazione?

“Di solito i mercati non si limitano a reagire a quanto fatto e detto dai politici, ma hanno anche un effetto sulla politica. Un’eventuale discesa delle Borse e un ritorno dello spread dell’Italia a 185 punti base, dopo essere stato a lungo a 130, rappresentano una chiamata in causa alla politica perché faccia di più. E, poiché i politici non possono permettersi di andare avanti con i mercati che vanno a picco, a questo punto serve che venga dato un segnale”.

Da chi può e da chi deve arrivare questo segnale?

“Un primo segnale è già arrivato dalla Fed. Un altro può arrivare dalla Banca centrale europea. La signora Lagarde, che presiede l’istituto di Francoforte, ha menzionato che sono in cantiere interventi ‘appropriati e mirati’. Ma la Bce ha già fatto tantissimo in passato, tanto che i tassi di interesse sono già a zero in Europa. E’ chiaro che la Bce può fare ancora di più, può cercare di sostenere per esempio i bilanci bancari acquistando i titoli pubblici o i titoli problematici portandoli via dai bilanci delle singole banche. Ma quello che ci si aspetta che avvenga è che in una situazione di crisi in arrivo siano i governi a muoversi, lasciando da parte il dogma dei trattati europei e magari – cominciando da chi se lo può permettere – fare un po’ più di deficit. Questo è quello che dovrebbero fare i singoli stati nazionali.

L’Europa poi, nel suo insieme, potrebbe essere un po’ più coraggiosa nel provare a fare progetti infrastrutturali, di cui si è parlato nei mesi scorsi, ma che sembravano cose molto futuribili. Ad esempio, il ‘Green New Deal’. Tutti sono d’accordo ad essere green, ma il problema è riuscire a trovare spazio per fare veri investimenti in questa direzione. Quello che l’Europa adesso è chiamata a fare, secondo me, è dare una risposta più in positivo cercando di far capire a tutti se è seria oppure no nel voler pensare al futuro investendo quanto serve. Magari facendo anche deficit finanziati con bond europei cioè garantiti dalla Ue, non dai singoli Stati, perché gli investimenti verdi sicuramente non produrranno risultati in un anno o in due anni, ma andranno misurati nell’arco di dieci anni.

La domanda che sollevano i mercati è: l’Europa è pronta a fare questo genere di scommesse, a presentarsi con un piano ambizioso che faccia recuperare la crescita economica alle varie economie europee per i prossimi dieci anni? Al momento non si conosce la risposta, perché non si sa se si riuscirà a trovare un accordo su queste cose. Per ora, nel dubbio, i mercati vendono e comprano titoli dei Paesi che sembrano dare maggiore affidamento”.

In questo momento quali sono i settori che stanno pagando di più in Italia?

“La filiera più colpita al momento è quella legata al turismo. Ad esempio, il numero di persone che ogni giorno arrivano a Venezia è diminuito di circa il 60% rispetto al normale. Tutti i giorni leggiamo di eventi spostati e di voli e fiere cancellate. Tutte queste cose hanno effetti sul settore della ristorazione, degli hotel. Ma hanno anche degli effetti sui settori che beneficiano del fatto di avere tanti turisti, quindi il settore della moda e del lusso accessibile in cui l’Italia è specializzata, che non arricchisce solo i proprietari delle griffe, ma arricchisce anche i tanti artigiani che sono magari piccoli imprenditori e che lavorano per i grandi marchi.

I settori più colpiti dall’arrivo di meno turisti sono sicuramente quelli associati all’hotellerie, alla ristorazione e ai nostri grandi marchi, che sono molto apprezzati soprattutto nei Paesi in cui l’economia ha cominciato ad andare male per prima, cioè nei Paesi asiatici. Abbiamo meno turisti che arrivano e abbiamo meno acquirenti di questi prodotti a Shanghai. Sono questi i due canali attraverso cui soffriamo. Soffriamo perché esportiamo di meno in Cina e soffriamo perché ci sono meno consumi di lusso nel nostro Paese effettuati dagli stranieri che non vengono più. Il turismo è sicuramento il settore nell’occhio del ciclone”.

Ci cono invece settori che paradossalmente possono beneficiare in qualche modo di questa situazione?

“Se si mangia meno fuori casa, a perdere è il settore della ristorazione. Di contro, in questo primo momento di crisi, e beneficiare è stata la grande distribuzione. I dati del primo fine settimana con il coronavirus hanno indicato numeri molto importanti, variabili tra il +10% e il +15%, per le catene principali della grande distribuzione. Questi sono numeri rilevanti, che dicono che qualcuno indubbiamente ha guadagnato almeno in questa prima fase dall’arrivo del coronavirus”.

Questa può essere una crisi come quella del 2008? Può portare conseguenze tanto pesanti?

“Ci sono alcuni aspetti simili e altri diversi. Le somiglianze stanno nel fatto che è una crisi che colpisce, in Italia in particolare, alcune zone forti del Paese. Nel 2008 erano stati colpiti gli esportatori, che stavano andando molto bene; adesso è il Nord Italia che paga pegno. E il Nord Italia rappresenta il 30% del Pil e il 40% delle esportazioni italiane.

Un aspetto che potrebbe indurci ad essere non così pessimisti è che dopo la crisi 2008/2009, la ripresa è stata abbastanza rapida. Ce ne siamo dimenticati perché poi è arrivata a fine 2011 la crisi dell’euro, ma in realtà l’economia si stava riprendendo rapidamente proprio perché ad essere colpiti erano stati coloro che andavano meglio prima e che quindi avevano tutte le risorse per continuare ad andare bene. Anche adesso, se la crisi è temporanea e colpisce realtà forti, il fervore produttivo può ricevere una sospensione, ma non venire cancellato.

Considero quello che sta avvenendo con preoccupazione, ma se mi guardo intorno mi sembra che i politici sappiano cosa devono fare. E’ vero, c’è questo problema dell’Europa che è un po’ disallineata rispetto agli altri, ma io sono fiducioso del ruolo che svolgono i mercati. I mercati indicano dove sta il problema e la politica – magari in modo un po’ recalcitrante – poi reagisce. Io immagino che ci sarà una reazione a livello europeo. E’ presto per dirlo, ma penso che non ripeteremo una crisi come quella del 2011/2012 con i Paesi che non decidono e che rinviano. Penso ci siano gli ingredienti per mettersi insieme. E in questa fase le Borse sono molto utili per indurre la politica ad agire”.

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