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Le prime contrattazioni del martedì hanno portato lo spread tra Btp e Bund a scollinare oltre la fatidica quota dei 150 punti base, alla quale si era già così repentinamente avvicinato alla vigilia. Il differenziale tra i rendimenti dei titoli decennali italiani e tedeschi aveva smesso da parecchio di fare notizia, segno di quella “normalizzazione” all'insegna della quale è passato il 2015. Un po' merito dei miglioramenti dell'economia nostrana, ma soprattutto della politica aggressiva della Banca centrale europea.

Di fronte al mutamento degli scenari economici globali, però, nemmeno questi elementi bastano più. E così, se a inizio anno ancora lo spread era sotto i 100 punti, nel corso di gennaio si è avviata una risalita graduale, che ha poi subito un'impennata decisa dall'avvio di febbraio, con un rialzo di 30 punti circa in una manciata di sedute. All'avvio della seconda di questa settimana si è attestato a 154,2 punti, dopo aver chiuso a 147 alla vigilia.

La forte divaricazione è frutto del contemporaneo aumento dei rendimenti sui titoli italiani e la diminuzione di quelli tedeschi. I primi sono arrivati all'1,73%, i secondi a meno dello 0,20 per cento. La corsa all'acquisto di bund è uno dei segnali più evidenti che la fiducia sui mercati sta venendo meno in maniera strutturale, al di là degli umorali ripetuti crolli giornalieri che dalle Borse asiatiche si propagano a quelle europee.

Piazza Affari, con questo clima, risulta particolarmente sotto pressione, dato il peso elevato della componente bancaria. Il meccanismo del bail in, infatti, rischia di amplificare l'effetto “panico” nei confronti degli istituti di credito, che appaiono come investimenti meno solidi rispetto al passato, visto anche il circolo vizioso per il quale l'indebolimento dell'economia non potrà che portare a un aumento delle sofferenze nei loro bilanci.

Il massimo da fine giugno (periodo nel quale era l'ipotesi Grexit a tenere in fibrillazione gli operatori) toccato questa mattina è ancora lontanissimo dai 548 punti di metà 2012. E, nonostante qualcuno come il magnate George Soros abbia paventato che una “nuova crisi del 2008” si stia abbattendo sull'economia globale, al momento non ci sono i presupposti perché si torni su quei livelli: i tassi di interesse sono troppo bassi e i titoli italiani non possono essere trattati come “spazzatura”, tanto da giustificare una forbice tanto elevata nei loro rendimenti.

Ma il campanello d'allarme è suonato e continua a vibrare, anche dopo l'immediato ritorno al di sotto di quota 150 dello spread Btp-Bund. Che, come al solito, non rappresenta un problema nell'immediato, ma in prospettiva. Le prossime aste di titoli del Tesoro diranno quanto impatto avrà l'attuale innalzamento sui tassi di interesse che l'Italia sarà costretta a garantire per rifinanziarsi.

Quantomai opportuno risulterebbe doverlo fare un po' meno. Circostanza sulla quale ottimista appare il ministro dell'Economia, Piercarlo Padoan, che in un'intervista a Bloomberg ha detto “il previsto calo del debito pubblico italiano quest’anno segnerà una svolta per il Paese, cambiando la scettica percezione dei mercati nei nostri confronti

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