L’emergenza abitativa a Milano si traduce in una offerta di appartamenti accessibili che scarseggia sempre più, a fronte di una domanda che aumenta a dismisura, di pari passo con la crescita demografica, l’aumento di studenti e giovani professionisti e, non ultima, l’attrattività turistica del capoluogo lombardo. Una delle soluzioni, ma non l’unica, è quella degli affitti a canone concordato, una soluzione tutta da rilanciare a Milano, dove non ha mai davvero preso piede. Ne abbiamo parlato con Pierfrancesco Maran, assessore alla Casa del Comune di Milano.
“Il canone concordato a Milano non ha mai funzionato, - spiega Maran ai nostri microfoni, - ma il nuovo accordo che abbiamo siglato è una scommessa, un invito per i proprietari a verificare come funziona e se possa essere conveniente”.
Come funziona l’accordo per il canone concordato sul territorio di Milano?
Il Comune di Milano realizza la sua offerta tramite l’agenzia Milano Abitare. È un accordo tra i sindacati degli inquilini e le associazioni dei piccoli proprietari che prevede massimali stabiliti a seconda di zone in cui Milano è suddivisa (qui tutte le info, NdR). Se il proprietario affitta casa entro questi massimali pagherà una cedolare secca al 10 per cento, metà Imu e riceverà un contributo da parte del Comune. In questo modo
il proprietario guadagna sostanzialmente la stessa cifra che guadagnerebbe affittando sul libero mercato, ma l’inquilino risparmia almeno il 15-20 per cento. Quindi è una vittoria per tutti.
Perché il canone concordato non ha mai funzionato a Milano?
Il canone concordato nasce dall’idea di stimolare i proprietari ad affittare case che altrimenti resterebbero sfitte. A Milano tuttavia il tasso di sfitto è molto basso, e le tariffe concordate sono sempre state troppo inferiori ai canoni da libero mercato. Il nuovo accordo cerca quindi di trovare una quadra in modo da conciliare l’aiuto agli inquilini con la convenienza dei proprietari, che altrimenti non ci seguiranno mai.
Alcune associazioni hanno espresso perplessità relativamente alle tariffe per il canone concordato delle singole stanze, sostenendo che potrebbero dare adito a speculazioni.
Dipende, affittare una casa frazionata in stanze, ad esempio a studenti, è una tipologia diversa di affitto rispetto alla locazione di un appartamento intero a una famiglia. Implica un grado di usura diverso, un’utenza differente. Al contrario, crediamo che estendere le tariffe per il canone concordato anche alle stanze (di almeno 12 metri quadri con accesso al bagno) sia un vantaggio, per la prima volta pensiamo anche agli studenti. Solitamente gli accordi non prevedono questo tipo di tariffario.
Come si pone il Comune di Milano rispetto ai diversi aspetti dell’emergenza abitativa: proteste degli studenti, caro affitti, affitti brevi…?
Negli ultimi anni Milano è cresciuta molto, abbiamo 100mila abitanti in più e 25 mila studenti fuori sede in più di dieci anni fa, e il doppio dei turisti rispetto al 2015. Questo comporta, come è normale, un cambiamento della domanda e dell’offerta, e un aumento dei prezzi e dei canoni di affitto. Noi come amministrazione siamo preoccupati, perché, andando avanti su questa strada,
la situazione può tradursi sempre più in una esclusione nei confronti di chi non si può permettere una casa ai prezzi attuali.
Ecco perché mettiamo in campo delle strategie; il canone concordato, come detto, ma anche la messa a disposizione di patrimonio immobiliare pubblico in parte sfitto. Assegnando le case pubbliche ai lavoratori, o al progetto di studentato diffuso, facciamo in modo che le case vengano ristrutturate e tornino ad essere abitate.
Aumentare numericamente l’offerta di appartamenti è possibile?
È più complicato, e potrebbe non essere risolutivo. La domanda abitativa infatti aumenta a ritmi ancora superiori rispetto all’offerta: se questa aumentasse, la richiesta crescerebbe ancora di più, e il gap resterebbe.
La questione non è aumentare il numero di case in assoluto, ma di aumentare il numero di case a prezzo accessibile.
Perché costruire semplicemente il nuovo non fa che alzare ulteriormente il livello di prezzi, che appunto si adeguano allo standard del nuovo anche nelle aree limitrofe. Quello su cui stiamo agendo a livello di piano regolatore quindi è incrementare gli obblighi dei costruttori in termini di costruzione di case a prezzi convenzionati.
Qual è la situazione degli studentati?
Negli ultimi dieci anni sono stati creati diecimila nuovi posti letto per studenti in varie fasce di prezzo, ma, anche in questo caso, i nuovi studenti fuorisede sono saliti a 25 mila. Per colmare il gap verranno costruiti altri 15 mila posti letto, ma non è detto che la richiesta non cresca ancora. Il che da un lato è positivo, perché significa che Milano aumenta la propria attrattività. Ma il rovescio della medaglia è, ancora una volta, l’aumento dei prezzi.
Quanto il fenomeno degli affitti brevi incide sull’emergenza abitativa a Milano?
Gli affitti brevi per i turisti, da opportunità interessante per Milano, sono diventati un problema. L’idea concettualmente è fantastica: è nata come possibilità per un proprietario di affittare temporaneamente una stanza inutilizzata di casa propria, in modo da avere una integrazione al reddito e, contemporaneamente, di creare una relazione tra proprietari e turisti. Oggi non è più così: si affittano interi appartamenti adibiti a questo solo scopo, senza più nessun contatto tra turisti e proprietari. Inoltre,
immettendo migliaia di appartamenti sul mercato turistico, si induce in generale un aumento dei canoni di affitto, ai danni di altre tipologie di inquilini.
Ora, si comprende il punto di vista dei proprietari, che preferiscono affittare ai turisti perché garantiscono maggiori guadagni e meno problemi a livello di garanzie, ma di questo passo il sistema città si avvia al collasso. Sono quindi necessari dei limiti, come un numero massimo di appartamenti da affittare ai turisti, per evitare la conversione di interi patrimoni immobiliari. Come Comune non possiamo fare molto, abbiamo avuto un intervento statale ma senza vantaggi tangibili per le città.
I property manager di appartamenti in affitto breve tuttavia sostengono che l’influenza del numero di appartamenti in locazione turistica non sia tale da danneggiare il mercato abitativo, e che l’alterativa all’affitto breve in molti casi è lasciare l’appartamento sfitto. Cosa risponde?
È vero, ed è vero che gli appartamenti in affitto breve aiutano a ridurre la percentuale di sfitto. Tuttavia, al di là del fatto che questa percentuale a Milano è molto bassa, tra il 3 e il 4 per cento del totale, si tratta pur sempre di migliaia di case che magari in precedenza erano affittate a prezzi accessibili e ora no, quindi è comunque uno svantaggio per l’offerta abitativa. D’altro canto, se è vero che il turismo è una leva economica importante per il nostro Paese, è anche vero che
se diventa dilagante al punto di espellere i residenti dalle città non è più un vantaggio, ma un elemento negativo per il sistema economico del territorio.
Mi spiego: se i numeri turistici crescono, anche l’offerta presumibilmente crescerà senza freni, come anche i canoni di affitto nelle zone più gettonate. Che a quel punto diventeranno inaccessibili per i residenti, i quali si sposteranno altrove, o lasceranno la città. In questo modo la città perde i suoi professionisti, deprezzando il proprio valore. Un boomerang anche a livello turistico, perché senza servizi una città diventa poco attrattiva anche per i turisti.
Cosa intende fare l’amministrazione comunale in questo senso?
La necessità è di limitare questo fenomeno per preservare l’interesse stesso di Milano come meta turistica, trovando un compromesso a favore sia del proprietario, che vuole massimizzare nel breve il suo vantaggio, che della città, che deve mantenere il proprio valore a lungo termine. Risposte da parte del governo non ne abbiamo in senso positivo, ma continuiamo a lavorarci. Bisogna considerare che i fenomeni sono in continuo divenire: solo 30 mesi fa si pensava che le città si sarebbero svuotate in favore dei borghi, e così non è stato. Oggi il problema è opposto, quello di gestire l’eccesso di voglia di città.
In che senso?
In dieci anni abbiamo notato, ad esempio, un aumento del 15 per cento della popolazione di under 35 in città, e solo dello 0.3 per cento nell’hinterland. Questo significa che la voglia di abitare in un contesto cittadino, con determinati servizi, non è spenta, anzi. Bisogna quindi allargare il senso della città anche al di fuori del centro per rispondere a questa richiesta.
In che modo?
Allargando il raggio dei mezzi di trasporto, trasferendo nelle periferie le istituzioni culturali e universitarie, come le facoltà scientifiche dell’università statale con MIND, il conservatorio a Rogoredo, la fabbrica della Scala all’ex-Innocenti di Lambrate, l’Accademia di Brera allo Scalo Farini. In questo modo si allarga fuori dal centro la visione urbana e lo stile di vita che è quello che cerca chi vuole vivere a Milano.
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